Un criminale pericoloso: il caso Almasri
di Michele Bartolo-
Osama Njeem Almasri, generale libico e direttore del carcere di Mitiga nei pressi di Tripoli, è stato arrestato il 19 gennaio a Torino su mandato della Corte Penale Internazionale.
Secondo l’accusa, si sarebbe reso colpevole di crimini di guerra e contro l’umanità commessi a partire dal 2011 nella prigione di Mitiga, struttura tristemente nota per le violazioni dei diritti umani.
L’arresto è avvenuto in seguito a una segnalazione dell’Interpol e ha suscitato soddisfazione tra le Ong, che da anni denunciano il sistema libico di detenzione, sostenuto anche con fondi europei e italiani. L’uomo, accusato di stupri, torture, abusi e omicidi sui migranti, diventa tuttavia un caso politico e diplomatico quando, dopo il suo arresto, ne viene disposta la scarcerazione ed il successivo rimpatrio in Libia con volo di stato italiano.
Quest’ultimo provvedimento, poi, ovvero la espulsione dal territorio nazionale, sarebbe stato adottato dal Ministro dell’interno Piantedosi sul presupposto della pericolosità del soggetto. Nell’occhio del ciclone sono finiti quindi i principali esponenti del Governo Italiano, dal Presidente del Consiglio dei Ministri ai Ministri della Giustizia Nordio e dell’Interno Piantedosi, rei di avere reso possibile la scarcerazione ed il rimpatrio del generale libico e, nel contempo, avere di fatto disatteso un provvedimento coercitivo emesso dalla Corte Penale Internazionale.
Questi i fatti.
La controversa scarcerazione, motivata da presunte irregolarità nell’arresto rilevate dalla Corte d’appello di Roma, ha suscitato polemiche sia a livello nazionale che internazionale. La stessa Corte dell’Aja ha criticato duramente l’Italia per non aver rispettato gli obblighi di cooperazione previsti dallo Statuto di Roma, rendendosi di fatto colpevole di una grave violazione del diritto internazionale, mentre nel Paese si è scatenato un acceso dibattito politico. Le opposizioni italiane hanno immediatamente attaccato il governo, accusandolo di complicità con un criminale di guerra.
La vicenda Almasri solleva interrogativi non solo sulla gestione del caso specifico, ma anche sui rapporti tra Italia e Libia. Il generale non è un personaggio marginale: è a capo della Polizia Giudiziaria libica e lavora a stretto contatto con il procuratore generale del Paese. Le relazioni tra i due Stati, fondamentali per il controllo dei flussi migratori e le forniture di gas e petrolio, potrebbero aver giocato un ruolo nella decisione italiana.
Nel frattempo, la Corte Penale Internazionale continuerà a chiedere chiarimenti, alimentando la pressione su un governo già sotto accusa. Come detto, a cercare di dare una spiegazione convincente, non sortendo però l’effetto sperato a detta delle opposizioni, ci ha provato il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi.
Il cittadino libico sarebbe stato rilasciato nella serata del 21 gennaio “per poi essere rimpatriato a Tripoli, per urgenti ragioni di sicurezza, con mio provvedimento di espulsione – ha puntualizzato il ministro – vista la pericolosità del soggetto”. “A seguito della mancata convalida dell’arresto da parte della Corte d’appello di Roma – ha proseguito Piantedosi -, considerato che il cittadino libico era ‘a piede libero’ in Italia e presentava un profilo di pericolosità sociale, ho adottato un provvedimento di espulsione per motivi di sicurezza dello Stato” ai sensi della legge.
Sul caso, è intervenuto poi il Ministro della Giustizia, Nordio, il quale sostanzialmente ha difeso la circostanza di non avere subito trasmesso le carte al Procuratore Generale della Corte di Appello di Roma per procedere all’arresto di Almasri, in quanto il mandato di arresto della Corte di Appello Internazionale sarebbe stato caratterizzato da vizi di forma e di sostanza tali da mettere in dubbia, per la sua intrinseca contraddizione ed illogicità, anche in ordine ai tempi ed ai reati contestati, la stessa legittimazione della Corte ad adottare il provvedimento restrittivo. In questo caos politico e giuridico, ciliegina sulla torta, il Presidente del Consiglio ed i ministri coinvolti hanno poi essi ricevuto avvisi di garanzia per peculato e favoreggiamento in riferimento alla vicenda della scarcerazione del pericoloso criminale, il tutto sulla base di un esposto presentato presso la Procura di Roma.
Anche qui si è acceso un altro dibattito, sulla ineluttabilità o meno della comunicazione di avvio del procedimento avviato dalla Procura di Roma, per alcuni atto dovuto e per altri atto discrezionale dei magistrati. Il tutto ad alimentare un ulteriore dibattito sul conflitto tra politica e magistratura, salvo richiamare sullo sfondo anche un complotto internazionale ai danni del governo italiano, magari orchestrato dalla Germania, invidiosa della visibilità e della crescente centralità dell’esecutivo nel contesto europeo ed internazionale. Il caso giuridico e politico è sicuramente complesso e non possono esprimersi opinioni senza conoscere le carte, come giustamente ha sottolineato il ministro Nordio.
Tuttavia, sembra di vivere in un mondo dove tutto viene messo in discussione, senza più certezze su chi possa giudicare chi e dove possa trovarsi la verità. Non si tratta, tuttavia, di un problema solo italiano, basti pensare a quanto sta succedendo negli Stati Uniti d’America, dove, una volta al potere, il presidente Trump sta licenziando gli investigatori della FBI che hanno indagato su di lui, dopo avere precedentemente concesso la grazia ai presunti responsabili degli atti eversivi compiuti durante l’assalto al Capitol Hill del gennaio 2020. Insomma, tutti colpevoli, tutti innocenti, nell’infinito gioco di guardie e ladri.
