Voti di scambio

di Giuseppe Moesch*

I fatti portati in questi giorni alla ribalta della cronaca giudiziaria in Liguria, nel barese, ed in Piemonte, Sicilia e Campania, che coinvolgono le istituzioni cittadine di diversi comuni e dell’Ente Regione, mi hanno spinto ad una riflessione sulla nostra capacità di attribuire il corretto significato alle parole che vengono usate.

Il dizionario Treccani propone tre diversi significati per la parola voto, ognuno di essi arricchito da aggettivi o apposizioni che ne amplificano il significato; il primo è riferito all’ambito religioso, il secondo a quello politico ed il terzo alla valutazione scolastica di un discente.

Trascurando quest’ultimo, è quello religioso che ci appare il più sublime e meritevole, per credenti e non, di valutazione positiva, mentre si attribuisce a quello politico una valenza che impone precisazioni onde non incorrere in errate interpretazioni.
Da sempre l’umanità smarrita di fronte alle prove della vita, dalle malattie alle catastrofi naturali o derivanti da atti esecrabili da parte di altri uomini, ha cercato protezione da parte di esseri superiori, magici o santi, che le varie credenze hanno considerato capaci di intervenire e modificare i destini dei singoli o di interi gruppi, a cominciare dai Sumeri inventori della scrittura e quindi della storia.

Risalgono certamente al neolitico, anche se oggi si tende a spingere più indietro la creazione di luoghi di culto rivolti alle forze della natura. A queste ci si affidava per ottenere protezione sacrificando beni ritenuti preziosi, attraverso sacrifici o promesse di sacrificio in caso di positivo riscontro delle richieste formulate.
Presso tutti i santuari si ritrovano quelle tracce spesso simboleggiate attraverso figure modellate in terracotta ed in seguito anche con materiali più nobili in forma di animali o di immagini del Dio o della Dea, ovvero rappresentanti animali o oggetti che fossero facilmente associabili a quella particolare divinità.

In passato venivano svolti sacrifici anche umani, basti solo pensare al sacrificio di Ifigenia per garantire la partenza della flotta greca per Troia, alla figura del Cristo per salvare l’umanità, e sostituiti nel tempo da sacrifici simbolici come avviene nella transustanziazione, ma presenti in molte altre religioni da quelle orientali a quelle amerinde. Quei sacrifici tesi ad ottenere la benevolenza degli dei erano accompagnati anche da forme diverse di richieste di aiuto in speciali occasioni, quando appariva in tutta la sua drammaticità, l’impotenza degli uomini di fronte a situazioni gravi come malattie o ferite che la medicina dell’epoca sembrava incapace di guarire e solo un intervento divino poteva risolvere il problema- o come l’intervento miracoloso della statua di San Gennaro che, portata al ponte dei Granili vicino Portici, il 16 dicembre del 1631 arrestò l’avanzata della lava salvando la città di Napoli.

Nasce così nel tempo la pratica del voto ovvero, l’impegno solenne di sacrificare alla divinità un bene prezioso come contropartita della richiesta impetrata all’ottenimento della richiesta stessa. Si trattava di fatto di un contratto unilaterale, nel quale il fedele prometteva in cambio della guarigione o del superamento della situazione di crisi, un sacrificio, di un bene prezioso. Talvolta si faceva un voto anche in apparenza senza contropartita come ad esempio quando si sacrificava un figlio, ma più spesso una figlia, ad una vita di castità o di povertà, o comunque basata sui principi della religione professata, ed in questo caso la contropartita era la garanzia per una vita post mortem di beatitudine.
Chi faceva il voto non era necessariamente colui che subiva il danno eventuale, come avveniva quando appunto un genitore donava una propria figlia alla chiesa mettendola in convento, ma questo faceva parte spesso dell’ipocrisia per giustificare la non dissipazione del patrimonio familiare.

Le chiese, in particolare quelle del sud della penisola, hanno alcuni altari, o le sacrestie, tappezzati di ex voto, normalmente in argento, talvolta in oro, raffiguranti bambini, arti troncati, crani rotti o simboliche rappresentazioni di ventri materni, o in altri casi macabri trofei di brandelli di ossa o residui di eventi tragici come naufragi o esiti di guerra, tutte manifestazioni di millenarie espressioni di riti pagani ancora oggi vivi nelle classi sociali meno evolute.

Quindi la prima accezione del termine voto, quella considerata la più sublime, la forma più alta di impegno morale, etico e religioso era ed è in buona sostanza un voto di scambio.
La seconda accezione è strettamente connessa alla espressione di volontà di alcuni soggetti di avallare le scelte o le decisioni di una comunità di cui si fa parte, più o meno esplicitamente, o di proporre o confermare candidature alle posizioni organizzative e dirigenziali di quei gruppi, all’interno di assemblee o di organi collegiali; come conseguenza si avrà che una delle massime espressioni di quella volontà si riscontrerà nel diritto di voto, è cioè quel diritto conferita nei regimi democratici, a tutti i cittadini al raggiungimento della maggiore età, a meno di impedimenti personali, o di vincoli previsti dalla legge, di poter partecipare alla scelta dei propri rappresentanti nelle istituzioni, in primis in quelle legislative, allo scopo di legiferare nell’interesse della collettività, e di scegliere gli amministratori, per applicare quelle leggi ai diversi livelli.

Tra le riflessioni che derivano da quanto sopra, la prima è che in tempi moderni, le dimensioni delle collettività, foss’anche un Consiglio di Amministrazione di una piccola società, sono tali che i partecipanti potrebbero avere diverse visioni delle modalità per raggiungere gli obiettivi prefissati, ma anche per la definizione degli obiettivi stessi.
La soluzione ovviamente sarà quella di trovare un accordo su alcuni punti comuni che possano unificare le volontà di un gruppo di soggetti, che anche se non saranno completamente d’accordo su tuti gli aspetti degli obiettivi da raggiungere potranno fare fronte comune rispetto a gruppi con posizioni diverse: questa aggregazione nasce attraverso una operazione che va sotto il nome di compromesso, ovvero rinunciare a parti considerate forse trascurabili ma che permettono di andare incontro alle esigenze di altri soggetti che faranno altrettanto rinunciando per il momento ad altre posizioni non condivise.

Le cose si complicano quando i gruppi che si contrappongono sono più numerosi, essendo espressioni di dettaglio all’interno della stessa visione di fondo.
Questa condizione si ritrova facilmente nelle formazioni politiche delle democrazie occidentali, passando dalle contrapposizioni democratici – repubblicani degli Stati Uniti d’America, con piccole frange minori, alla pletora di partiti del nostro Paese che si sviluppa su un arco ampio e variegato, sia per le origini storiche che per gli opportunismi di alcuni soggetti.

La contrapposizione degli USA è quella che può essere riscontrata un po’ dappertutto tra conservatori e progressisti, destra e sinistra, che nel tempo subisce modificazioni e ridefinizione dei confini.
Ovviamente sia a destra che a sinistra è possibile trovare maggiori o minori rigidità nel portare avanti le proprie idee e per questo motivo diventa necessario procedere a quei compromessi per aggregare i consensi ed ottenere una maggioranza per governare.
Ogni partito, o meglio oggi ogni leader di partito, tende ad accrescere il proprio peso per avere la possibilità di affermare con maggior forza le proprie idee, ed al momento delle elezioni chiederà agli elettori di esprimere le proprie preferenze per i propri rappresentanti, sulla base di un programma che si impegna a realizzare tutto o in parte a seconda del peso politico che avrà raggiunto.

Se ci fosse nella comunità di riferimento un gruppo di cittadini provenienti da Venere che hanno assunto la cittadinanza italiana, si potrebbe costituire un partito che abbia per obiettivo la valorizzazione della cultura Venusiana da proporre nelle scuole: la conseguenza sarebbe quella di una campagna elettorale tesa a raccogliere consensi per garantire quel risultato, e la promessa potrebbe esser quella di garantire, in caso di vittoria, l’assunzione di docenti di cultura venusiana; ecco così ridefinito il voto di scambio, ovvero tu mi voti e se sarò eletto ti garantisco posti di lavoro come docente di venusiano nelle prossime scuole riformate.

Se invece che di insegnanti parlassimo di Reddito di cittadinanza o di Condoni vari, di semplificazione degli esami per l’accesso a professioni liberali, o di garanzie di impunità giudiziaria, sarebbe esattamente la stessa cosa; non più un programma basato su valori e prospettive di una società migliorata, ma semplici promesse di garanzie alla maniera laurina con i pacchi di pasta o le scarpe distribuite una prima e l’altra dopo il voto.
C’è però una differenza tra questo tipo di voto di scambio e quello di matrice religiosa ed è quello collegato all’agente ovvero chi è la parte attiva; nel caso del postulante che si reca al tempio, è proprio lui e si rivolge alla divinità di turno perché gli conceda un beneficio, mentre nel caso della politica i ruoli si invertono.

Il cittadino titolare di diritto viene lusingato da un politico che gli promette di dargli ciò che è un suo diritto ponendosi nella condizione di una divinità.
Ancora più drammatica è la condizione degli ultimi esempi di accordi dove il solo nome diventa elemento di richiamo nella convinzione che gli ignoranti che andranno a votare potranno scegliere sulla base di una fama come per un dentifricio, a cui si sono aggregati molti per superare le soglie di sbarramento senza uno straccio di programma e senza carisma o dignità da proporre come motivazione.

C’è ancora una ulteriore accezione del termine ed è quello invalso nel gergo diplomatico: il voto, in francese voeux, che è la manifestazione di un desiderio, riferibile al comportamento degli Stati, espresso nel corso di una conferenza, senza che ciò costituisca obbligo giuridico per gli stati partecipanti alla conferenza stessa.
Questo caso però è solo il segno dell’ipocrisia di fronte alla difficoltà di assumere impegni per azioni difficilmente realizzabili ma che possano essere date in pasto agli ottusi ignoranti che manifestano nelle piazze o negli Atenei occupati.

 

*Già Professore Ordinario UNISA

Giuseppe Moesch Giuseppe Moesch

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