Il territorio, bene comune
Rischio idrogeologico e difesa della Natura –
Erano i primi giorni di maggio di diciotto anni fa allorché sui media di tutta Italia rimbalzarono le notizie della tragica alluvione di Sarno e Quindici che causò un movimento franoso di vaste dimensioni e portò alla ribalta le frazioni di Episcopio e di Casamanzi oltre che il Comune di Siano in Campania. Centosessanta le vittime senza contare i feriti, i senzatetto e le nefaste conseguenze sull’economia del comprensorio.
Negli anni seguenti non sono mancati in tutta Italia disastri riconducibili al rischio idrogeologico, per tutti valga il ricordo di Atrani, Genova, Benevento. E’doloroso scoprire che addirittura nel 1954 Alberto Hofmann, ispettore alle Foreste della Provincia di Salerno, fu eccezionale testimone ed interprete di un fenomeno di dissesto idrogeologico del tutto simile – potremmo dire identico – a quello che poi sarebbe avvenuto a Sarno nel 1998.
Passata l’eco di tali tragedie, si tende a dare la colpa alle piogge eccezionali o ad altre cause di forza maggiore, mettendo in secondo piano l’azione scriteriata dell’uomo, l’abbandono dei terreni montani, il continuo disboscamento, gli incendi boschivi, l’uso di tecniche agricole invasive e poco rispettose dell’ambiente, l’estrazione incontrollata di fluidi dal sottosuolo, la trasformazione degli alvei in strade, l’abusivismo edilizio e l’eccessiva espansione urbanistica con impermeabilizzazione dei suoli.
Nel rapporto “Ecosistema rischio 2016” Legambiente definisce la Campania un gigante dai piedi d’argilla e snocciola dati preoccupanti, frutto di indagini eseguite su un campione significativo di Comuni del nostro territorio. Ben l’84% dei Comuni intervistati risulta avere sul proprio territorio abitazioni in aree a rischio idrogeologico e il 44% presenta interi quartieri in tali spazi. Non è raro scoprire che, anche nell’ultimo decennio, sono state costruite in zone esposte a rischio di frana o di alluvione strutture sensibili come scuole e ospedali oppure strutture ricettive turistiche o commerciali.
Solo pochissime amministrazioni hanno intrapreso interventi di delocalizzazione di edifici abitativi e di fabbricati industriali insicuri. In ritardo anche le attività finalizzate all’informazione ai cittadini sui comportamenti da adottare in caso di emergenza: il 62% dei Comuni ha un piano di emergenza che prende in considerazione il rischio idrogeologico ma solo il 44% lo ha aggiornato e una percentuale ancora minore dei Comuni intervistati ha svolto attività di informazione e di esercitazione per preparare i cittadini.
“Nella nostra regione, così come in gran parte d’Italia, la responsabilità dei disagi, dei danni, della melma e del fango che mettono a repentaglio vite umane e mettono a rischio case e strade, va ricercata in anni di malgoverno, nell’assenza di controlli, nella mancanza di una politica di prevenzione e monitoraggio del territorio, nella devastazione e cementificazione di vastissime aree – dichiara Giancarlo Chiavazzo, responsabile scientifico Legambiente Campania -.
La gestione accurata e sistematica del territorio e la informazione e formazione dei cittadini sui comportamenti da tenere in caso di frane e alluvioni, devono essere una priorità politica.
Piuttosto che rassegnarsi alle tragedie annunciate – prosegue Chiavazzo – serve dunque muoversi su due fronti.
Il primo consiste nella messa a regime di sistemi di previsione, allerta e allontanamento, attraverso presìdi territoriali, piani di prevenzione e informazione/addestramento delle comunità coinvolte.
Il secondo, di tipo strutturale con efficacia nel medio-lungo termine e risorse da programmare nel tempo, prevede la delocalizzazione delle strutture a rischio.
A tal proposito ci aspettiamo che i sindaci campani siano pronti a gestire le emergenze idrogeologiche con tutti gli strumenti di prevenzione occorrenti, giovandosi all’occorrenza della disponibilità di ben 15 milioni di euro di Fondi Comunitari destinati allo scopo da parte della Regione Campania”.
A sua volta la Regione Campania rivendica di prestare, negli ultimi anni, grande attenzione alla problematica di difesa del suolo con il potenziamento e l’aggiornamento delle reti di monitoraggio, l’acquisto di mezzi e strumenti trasferiti in dotazione ai Comuni, con leggi e normative tendenti a individuare i migliori metodi per assicurare la prevenzione delle catastrofi, nel quadro delle risorse disponibili.
Nondimeno ci sia consentito di esprimere qualche perplessità in merito al numero di strutture e di enti preposti allo studio, prevenzione e gestione delle emergenze a partire dai vari ministeri che se ne occupano, assessorati regionali, provinciali, sindaci, autorità di bacino, ordini professionali, società in house e così via.
In conclusione, riportiamo volentieri le voci di chi raccomanda di potenziare le attività e gli strumenti di controllo capillare sul territorio per contrastare con decisione le azioni dei soggetti pubblici e privati che tendono a sottovalutare o a non rispettare le condizioni di pericolosità e di rischio idrogeologico.
Molti ambientalisti ritengono che vada ridotto il ricorso alle opere, da prevedere solo per i casi in cui siano veramente essenziali, favorendo l’uso di tecniche di ingegneria naturalistica e di sistemazioni idraulico-forestali, opportunamente programmate e dimensionate al bacino idrografico di riferimento.
E’ l’uovo di Colombo: riportare in auge il concetto di manutenzione e di cura dell’ambiente da inculcare nei cittadini fin dalla più tenera età affinché tale mentalità diventi prassi ordinaria e atteggiamento culturale per legare gli individui alla Natura rispettata, da cui trarre sicurezza e benessere invece che pericoli e drammi.
