Una vita semplice e serena: l’omicidio irrisolto di Maura Fondacci

di Michele Bartolo-

Altro delitto rimasto irrisolto è l’omicidio di Maura Fondacci, uccisa il 6 novembre del 1997. Maura Fondacci era una ragazza di 31 anni piena di qualità, molto educata, simpatica, disponibile. Una bellissima ragazza, ma senza malizia. Conduceva una vita tranquilla, era legata sentimentalmente da anni ad un ragazzo di Gubbio con un rapporto sereno e stabile. Il suo mondo, insomma, gravitava attorno alla sua famiglia, al suo lavoro e ai sui affetti più cari.

Aveva lasciato la sua abitazione di Loreto, una frazione di Gubbio, a bordo della sua Opel Corsa, per raggiungere il negozio di pasta fresca gestito con la famiglia a Casamorcia; ma non era mai arrivata a destinazione. Il fratello Maurizio l’aveva trovata, intorno alle 16, riversa sul sedile dell’auto, uccisa da tre colpi di fucile. Il primo aveva infranto il vetro, gli altri due erano stati sparati, da vicino, contro la donna.

La macchina di Maura, ancora accesa, venne rinvenuta qualche metro più avanti rispetto ai vetri rotti del finestrino, come se qualcuno avesse tentato di spostare il mezzo. Non vennero ritrovati, invece, i bossoli dei tre proiettili, come se l’assassino fosse stato abbastanza lucido da far sparire ogni traccia.

Si indaga sulla vita privata della ragazza, il fratello e il fidanzato vengono sottoposti al test dello stub e entrambi vengono scagionati. Se vicino a Maura nessuno è sospettabile, allora bisogna guardare lontano. È proprio don Cristoforo, il prete che era accorso sul luogo della tragedia, a lanciare dall’altare un duro appello: ‘chi è stato si faccia avanti’.

È un amo lanciato in un mare di diffidenza, ma qualcuno abbocca. Dopo la predica, gli investigatori ricevono una strana telefonata da una donna che vuole rimanere anonima. “A Gubbio c’è un uomo che molesta le ragazze”. Le attenzioni ricadono immediatamente su un giovane che abita poco lontano da casa Fondacci. Trent’anni, introverso, solo in casa con la madre da dopo la morte del padre, ricoverato al centro di Igiene Mentale per ‘sindrome dissociativa’, l’uomo finisce sulla lista degli indagati. In casa sua vengono trovati diari che raccontano i grandi disagi del trentenne con l’universo femminile. Non solo. Il giovane aveva appuntato le su un’agenda le targhe delle donne che lo attraevano. Un particolare che si ricollega direttamente alle testimonianze di diverse donne che aveva fermato mentre erano in auto e costretto ad abbassare il finestrino.

A completare il quadro indiziario, oltre alla mancanza di un alibi, arriva il ritrovamento di un fucile da caccia e di alcune munizioni sotto il sedile posteriore della sua auto. Al processo contro di lui ci sono diciassette indizi. E nessuna prova.

A fronte di una prima richiesta di condanna all’ergastolo, l’imputato viene prosciolto in secondo grado ed in Cassazione, oltre che risarcito per ingiusta detenzione con una somma che supera i 100mila euro.

Questo finale ci riporta a tanti casi simili di mancata giustizia verso la vittima e di ingiustizia verso chi è stato, a torto, accusato o indagato per anni, senza arrivare alla certezza di una prova tale da poter emettere una sentenza di condanna. Condanna, per la verità, che in primo grado c’è stata,  ma sempre sulla base di un quadro probatorio debole e meramente indiziario, elementi che, messi tutti assieme, non sono riusciti a costituire una robusta prova, tale da resistere nel secondo grado di giudizio e in sede di legittimità.

Dopo l’assoluzione definitiva, nessuno ha più cercato l’assassino di Maura. La donna è stata uccisa in un modo atroce, senza nessun motivo apparente, eppure l’assassino ha agito in piena consapevolezza. Questo ce lo dice la scelta del luogo, la dinamica con cui l’agguato è stato perpetrato nei suoi confronti  e la ‘pulizia’ della scena del crimine (mancano infatti i bossoli che sono stati fatti sparire).

Oggi, a distanza di tanti danni dal delitto, sicuramente la tecnologia in campo scientifico-investigativo ha fatto  passi da gigante. Difatti, vi sono strumenti che consentono di geolocalizzare i soggetti coinvolti in un crimine, ascoltare conversazioni con l’ausilio di intercettazioni ambientali di alta qualità e, ancora, vi sono strumenti scientifici che effettuano misurazioni precisissime.

Bisogna, però, fare i conti con il tempo trascorso e con il fatto che molti dei reperti (tra cui il fucile sequestrato all’indagato) sono stati distrutti. Senza tacere della circostanza che l’intera vicenda è stata permeata da reticenza, omertà e contraddizioni. In questo quadro, le ultime analisi, disposte due anni fa, su un indumento macchiato di sangue, si sono risolte in un nuovo nulla di fatto.

Anche in questo caso, dopo tanto tempo trascorso, nessun colpevole del delitto. A distanza di quasi trent’anni, la famiglia Fondacci si chiede ancora come una persona che conduce una vita tranquilla ed onesta possa morire così, in una giornata qualsiasi, mentre va al lavoro.

 

 

 

Immagine a cura di chilhavistorai

                                  

 

 

 

Michele Bartolo

Avvocato civilista dall'anno 2000, con patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori dal 2013, ha svolto anche incarichi di curatore fallimentare, custode giudiziario, difensore di curatele e di società a partecipazione pubblica. Interessato al cinema, al teatro ed alla politica, è appassionato di viaggi e fotografia. Ama guardare il mondo con la lente dell'ironia perché, come diceva Chaplin, la vita è una commedia per quelli che pensano.