Il caso Gilardi: diritto della follia o follia del diritto?

di Michele Bartolo-

Il 22 ottobre scorso è morto il professore Carlo Gilardi, da alcuni anni rinchiuso in una struttura per anziani contro la sua volontà, dietro disposizione della sua amministratrice di sostegno.

La vicenda di Gilardi divenne popolare quando si occupò del suo caso la nota trasmissione televisiva “Le Iene”, che denunciò appunto il paradosso di un uomo che vedeva ristretta la sua libertà nell’asserito rispetto delle leggi di uno Stato di diritto.

In realtà, sul suo caso si è pronunciata  anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che nel luglio di quest’anno ha condannato l’Italia  per la violazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, dal momento che è stato possibile che, secondo le leggi italiane, un uomo libero sia stato inserito  in una residenza sanitaria assistenziale  nonostante la sua volontà contraria, con limitazione dei contatti verso l’esterno  e senza attuare alcun percorso di revisione di una misura che, nelle intenzioni e secondo il dettato normativo, avrebbe dovuto essere solo temporanea e provvisoria.

Quando la trasmissione Le Iene puntò i riflettori sul caso Gilardi nessuno intervenne, anzi la magistratura, come sovente accade, si chiuse a riccio, arrivando il CSM a censurare il servizio operato dalla trasmissione televisiva, nell’ottica di ritenerlo finalizzato solo a screditare il lavoro dei magistrati.

Ma chi era Carlo Gilardi?  Era un professore di Airuno, in provincia di Lecco, titolare di un ingente patrimonio di famiglia, finito sotto amministrazione di sostegno nel 2017, dopo che sua sorella aveva richiesto l’intervento del Tribunale di Lecco, con apposito ricorso, al fine di frenare la ritenuta eccessiva prodigalità del fratello  verso enti pubblici e persone fisiche.

Il procedimento è terminato con la nomina di una avvocatessa, quale amministratrice di sostegno, che poi, con l’ausilio di infermieri e carabinieri, ha effettuato un accesso presso l’abitazione del professore, all’esito del quale lo stesso è stato condotto presso la struttura sanitaria assistenziale.

Giova peraltro evidenziare che nel giugno del 2020, sospettando che si apprestava un attentato alla sua libertà personale, il professore si era sottoposto a perizia psichiatrica che, tra le altre cose, così concludeva: “(..) non emergono anomalie o segni di patologia, il pensiero è privo di alterazioni(..) nessun segno di deterioramento mentale o cognitivo (..)”. Premesso quanto sopra, il Tribunale di Lecco, su ricorso presentato appunto dalla sorella, riteneva sussistenti i presupposti per la nomina di un amministratore di sostegno all’anziano professore.

In realtà, secondo le testuali previsioni del nostro ordinamento, l’amministratore di sostegno è una figura istituita per quelle persone che, per effetto di un’infermità o di una menomazione fisica o psichica, si trovano nell’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi.

Gli anziani e i disabili, ma anche gli alcolisti, i tossicodipendenti, le persone detenute, i malati terminali possono ottenere, anche in previsione di una propria eventuale futura incapacità, che il giudice tutelare nomini una persona che abbia cura della loro persona e del loro patrimonio.

La figura dell’amministratore di sostegno, quindi, meno invasiva di quella del tutore, si basa sulla riscontrata esistenza di una patologia o menomazione fisica o psichica oppure sulla scelta volontaria di un soggetto che, in previsione di una sua futura incapacità, voglia farsi affiancare da una altra persona che si prenda cura dei suoi interessi, alla quale appunto chiede sostegno.

Ma, nel caso che ci occupa, non solo questa scelta volontaria non vi è mai stata, ma non ricorrono neanche i presupposti per una nomina dall’alto di tale figura, non essendo sussistenti né comprovate patologie fisiche o psichiche legittimanti un provvedimento limitativo della libertà personale di autodeterminazione di un libero cittadino.

Questo è il punto. La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), all’articolo 8, dispone che: “Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza”, fermo restando che, nella stessa Costituzione Italiana, i diritti della persona sono definiti inviolabili, così come nessuno può essere privato della libera manifestazione del pensiero, normata dall’articolo 21 della Carta.

Ma se questo è il quadro normativo in cui si inserisce la vicenda perché in uno Stato di diritto possono accadere aberrazioni simili?

La morte del professore Carlo Gilardi ci ha evitato di rispondere a questa domanda:  niente più striscioni, niente gesti dimostrativi o inchieste televisive, né tanto meno appelli o formali raccomandazioni, come quella dell’allora Garante nazionale dei diritti delle persone private  della libertà personale, Mauro Palma.

Tutto destinato al dimenticatoio, tutto consegnato al silenzio ed all’oblio.

Ebbe a dire l’amministratrice di sostegno: “(..) il professore  Gilardi vuole tornare a vivere da solo a casa sua  e questo sarà l’obiettivo (..)”. A casa sua il  professore ci è tornato, la morte lo ha reso finalmente libero.

 

Michele Bartolo

Avvocato civilista dall'anno 2000, con patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori dal 2013, ha svolto anche incarichi di curatore fallimentare, custode giudiziario, difensore di curatele e di società a partecipazione pubblica. Interessato al cinema, al teatro ed alla politica, è appassionato di viaggi e fotografia. Ama guardare il mondo con la lente dell'ironia perché, come diceva Chaplin, la vita è una commedia per quelli che pensano.