Versi per uomini persi. Silvanus – la nuova raccolta di poesie di Loris Arbati.  

di Denata Ndreca-

Silvanus (Betti Editirce – I libri di Mompracem 2022) è il nuovo libro di poesie di Loris Arbati, responsabile dell’Officina Culturale di Livergnano, che dedica la sua vita all’ insegna di educazione ambientale non solo nelle scuole, ma anche organizzando passeggiate didattiche per far conoscere l’Appennino e le sue tradizioni.

Già autore di: L’università della terra; Così doveva essere; Giorgione. Un uomo nella storia; Due passi nei dintorni; Cammina Cammina.

Le sue, sono parole che odorano e respirano tra pietre arse, percorrendo il sentiero di un passato che vuole essere proiettato verso il futuro, verso i bambini che corrono e ai quali, l’autore, vorrebbe insegnarli il pieno respiro, quello che saprà essere riserva di ossigeno nei loro momenti di ansia, ovvero, il coraggio di andare oltre.

Versi che gridano a ciò che dobbiamo rinunziare nella contradizione che porta il libeccio che soffia per dire – lasciati andare – seguendo a piedi nudi sterpi e serpi, fino a sentire le ferite che procura la terra che ci hanno lasciato in dono.

Ha occhi attenti la poesia di Loris Arbati, cerca le luci spente di un semaforo che non coordina più e, in quel silenzio, giunge la sua voce, da lui – a noi:  “Notte di versi per uomini spersi

Vuole ricordarci che, quello del poeta è un petto che accoglie dolce e amaro, non può essere coperto da una camicia con un bottone senza asola, non può annegare nelle lacrime che cadono su mani che tengono un rosario incapace di proteggere un amore che va verso la fine e i corpi sbranati dalla solitudine. Accoglie le anime che non stanno entro limiti dei parametri delle casse toraciche, perché è luogo di falco e piuma, di volti di madri e amore che tortura.

Ed è lì, che stanno i suoi versi, il peso dei quali Loris sa ben tenerlo sulle spalle, mentre cerca di salire gli ultimi scalini con le braccia stese ai fianchi durante le giornate serrate da lucchetti.

Sono parole che scorrono come vita, sequenze che si muovono come fotografia e d’improvviso ci fanno tornare nel tardo meriggio di un agosto, dove i ficchi s’incollano alle dita come i ricordi negli occhi. Sono parole colte e tenute tra le sue mani, parole che a volte divengono petali che accarezzano i suoi calli, senza nulla voler trattenere, perché nulla si può possedere camminando sul ciglio.

Possiamo soltanto affidarsi al vento, accentando ciò che toglie e giunge nel passaggio tra le generazioni, con un unico rimedio: la cura, come quella che sta nei piccoli gesti mentre il poeta taglia i capelli a suo vecchio e accarezza il cane, perché per lui è importante non dimenticare.

Un poeta non può dimenticare, è qui per testimoniare e raccontare l’odore del pane e del letame.

Poeta rapidamente Loris, tra nebbie e carni sfatte, per nutrire ciò che è simile a noi, toccando le periferie, cogliendo attimo che non colorerà di celeste, nella piena consapevolezza che: la macchina del nostro corpo è fatta per essere lanciata dall’alto della vita, senza paracadute.

È solo così che si può divenire – guida. È solo così che non si ha paura per il futuro. È solo così che si può fuggire da questo mondo di carta pesta.

La poesia di Loris è un’accusa che non chiede scusa.

È lontana dai fiati pesanti dell’ipocrisia, lontana dal puzzo di buonismo – unico modo per godere il suo volo di rapaci.

Un volo che vuole proteggere la sua libertà, purché la psiche non uccida l’istinto, purché le labbra non si chiudano da punti interrogativi e, la voce dei poeti possa divenire eco e possa trasmettere la lingua dei antenati, tramandata da un elemento che percorre tutte le pagine di questo libro: il vento.

 

Denata Ndreca