La battaglia di Cospito

di  Michele Bartolo-

E’ balzato in questi giorni agli onori della cronaca giudiziaria e politica il nome di Alfredo Cospito, detenuto in regime di 41 bis e nome di spicco del mondo anarchico.

Nato a Pescara nel 1967, ma residente nel quartiere San Salvario di Torino, compare nelle inchieste sul mondo dell’insurrezionalismo già nel 1996. Dopo essere stato redattore del foglio anarchico rivoluzionario Kn03 (la formula chimica del nitrato di potassio, uno degli elementi per creare un fumogeno), con la compagna Anna Beniamino – detenuta nel carcere romano di Rebibbia – ha creato un gruppo che proprio da quella pubblicazione prendeva il nome.

Dagli investigatori è considerato uno dei leader della Fai, la Federazione anarchica informale, movimento composto da vari gruppi dediti all’intimidazione armata rivoluzionaria e ritenuto dagli inquirenti un componente di spicco di una associazione per delinquere con finalità di terrorismo.

Cospito è in carcere già da dieci anni per la gambizzazione, nel 2012, dell’amministratore delegato di Ansaldo Nucleare, Roberto Adinolfi. Un attentato rivendicato dal Nucleo Olga della Fai con una lettera inviata al Corriere della Sera. Cospito venne arrestato quasi subito con il suo complice ed amico, Nicola Gai, che è tornato libero nel 2020 dopo uno sconto della pena in appello. Mentre era in carcere, Cospito è stato anche accusato dell’attentato del 2006 contro la Scuola Carabinieri di Fossano, in provincia di Cuneo. Due ordigni erano stati piazzati all’interno di due cassonetti all’ingresso dello stabile senza però causare né morti né feriti. Per quell’atto è stato condannato dalla Corte d’Appello a 20 anni di reclusione con l’accusa di strage. La Cassazione, invece, ha ritenuto si trattasse di strage contro la sicurezza dello Stato, un reato che prevede la pena dell’ergastolo ostativo, che non permette di godere cioè di alcun beneficio. Cospito, quindi, è il primo anarchico a finire al 41-bis, misura disposta lo scorso maggio per quattro anni.

Da tre mesi è in sciopero della fame contro il regime carcerario previsto da tale norma e le sue condizioni di salute continuano a peggiorare di giorno in giorno. Il 41 bis è stato chiesto dai magistrati proprio per tagliare i legami con l’esterno del detenuto. Suoi scritti filtrati fuori dal carcere – nelle valutazioni di magistrati ed investigatori – hanno indicato obiettivi da colpire, oltre ad offrire una piattaforma strategica per l’azione. Ed a raccogliere l’appello allo scontro potrebbero essere non solo i suoi compagni anarchici, essendo concreto il rischio del ricompattamento di frange della galassia dell’antagonismo, come si è visto nella manifestazione di domenica scorsa a Roma.

La battaglia di Cospito può così diventare la ’bandiera’ unificante di diverse pulsioni antisistema che si agitano nella società. Ma cosa prevede il famigerato 41 bis?

Era stato introdotto «in via temporanea» con la legge Gozzini, ma poi è entrato a far parte dell’ordinamento penitenziario e da oltre trent’anni è uno degli strumenti più utilizzati in materia di criminalità organizzata.

Pubblicato nel 1986, riportava esclusivamente un comma: il ministro della Giustizia poteva sospendere le «normali regole di trattamento dei detenuti e degli internati», «in casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazione di emergenza».

Nel 1992, con la strage di Capaci cambia tutto. Arriva il «decreto antimafia Martelli-Scotti». Il 41bis viene modificato e ampliato ai detenuti reclusi per mafia. Nel 2002, la norma del «carcere duro» diventa definitiva e viene estesa anche ai condannati per terrorismo e altri reati. Il suo  scopo è quello di interrompere i legami dei detenuti con il mondo esterno e interno al carcere, quindi con l’associazione «criminale, terroristica o eversiva». Ha una durata di quattro anni, ma può essere prorogata per altri periodi, nei casi in cui i collegamenti con le associazioni criminali o terroristiche dovessero continuare. Chi è detenuto al 41bis in cella è solo. I colloqui, che possono esserci una volta al mese, si tengono attraverso un divisorio di vetro, a eccezione di quelli con i minori di 12 anni. Massimo un’ora e sotto il controllo di un agente di polizia penitenziaria. Gli incontri sono «video-registrati». La socialità in carcere, in quelle due ore d’aria al giorno, è limitata a un gruppo di massimo quattro persone.

Gran parte dei condannati al «carcere duro» ha commesso un reato di tipo mafioso, ma quattro detenuti su oltre settecento totali sono al 41bis per terrorismo interno e internazionale.

Tra questi c’è Alfredo Cospito, oltre ai Br condannati per gli omicidi di Massimo D’Antona e Marco Biagi: Nadia Desdemona Lioce, Marco Mezzasalma e Roberto Morandi. E’ questo il punto: mafiosi e camorristi hanno capito che Alfredo Cospito può essere utile nella loro storica battaglia contro il 41 bis, perché sull’anarchico non pesa lo stesso stigma che grava sulla criminalità organizzata.  I mafiosi e i camorristi, subito dopo Natale, con l’intensificarsi delle manifestazioni all’esterno a sostegno di Cospito, hanno cercato di supportare con comportamenti e dichiarazioni la battaglia contro il regime del carcere duro nelle carceri di massima sicurezza d’Italia: a Sassari, dove Cospito era detenuto e ha cominciato lo sciopero della fame, ma anche a Novara, Spoleto e Opera, come raccontano le relazioni del Gruppo operativo mobile (Gom) della Polizia penitenziaria, arrivate di recente sui tavoli della Direzione nazionale antimafia e del ministero della Giustizia.

In questo contesto, Il procuratore generale del Piemonte, Francesco Saluzzo, ha dato parere contrario al ministero della Giustizia sulla revoca del 41 bis ad Alfredo Cospito.  Ha invece una conclusione aperta, che si affida alle valutazioni dell’autorità politica, il parere consegnato dalla Procura nazionale antimafia e antiterrorismo al ministro Nordio: l’anarchico può restare al 41 bis oppure tornare al regime di alta sicurezza, con tutte però le dovute cautele.

Sulla richiesta di revoca del carcere duro ora tocca proprio a Nordio sciogliere la riserva, mentre il detenuto, nell’ex centro clinico del carcere milanese di Opera, dove è assistito ‘ad horas’ e dove va avanti con lo sciopero della fame, confida a chi è andato a trovarlo di “voler vivere” ma anche di “non sentirsela di condannare gli attacchi anarchici” che stanno infuocando il clima in Italia e in Europa.

Il ministro lascia intendere di non voler arretrare perché, come ha riferito alla Camera, “apriremmo una diga a tutta una serie di pressioni da parte di detenuti che si trovano nello stesso stato” se le sue condizioni di salute finissero “per essere un condizionamento nell’allentamento del 41bis”.

Dalle Brigate Rosse in poi, uno Stato di diritto non può scendere a patti né cedere a pressioni o minacce esterne, dovendo trovare la giusta soluzione al caso Cospito nell’ambito del quadro normativo vigente e sulla scorta dei pareri resi dalle autorità competenti.

 

 

 

Michele Bartolo

Avvocato civilista dall'anno 2000, con patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori dal 2013, ha svolto anche incarichi di curatore fallimentare, custode giudiziario, difensore di curatele e di società a partecipazione pubblica. Interessato al cinema, al teatro ed alla politica, è appassionato di viaggi e fotografia. Ama guardare il mondo con la lente dell'ironia perché, come diceva Chaplin, la vita è una commedia per quelli che pensano.