Fascismo e democrazia
di Michele Bartolo-
La recente affermazione alle elezioni politiche italiane del partito Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni ha avuto ampia eco mediatica, tanto che da parte di alcune testate giornalistiche estere si è apertamente parlato della vittoria di un partito post-fascista, nato dalle ceneri del fascismo e, addirittura, si è fatto un parallelo con il governo Mussolini, per rappresentare la imminente nascita del governo collocato politicamente più a destra, dal dopoguerra ad oggi.
Anche sui social e nei vari circoli intellettuali vi è stato un ampio dibattito sul tema, tanto da rispolverare una frase che è stata ripresa da molti critici dell’esito del voto: “il fascismo è un reato, non una opinione”. Questa affermazione, in particolare, ci consente di compiere un approfondimento sul concetto del fascismo come reato e di cosa sia, per converso, la democrazia e la libera espressione del voto tra idee ed opinioni politiche diverse e contrastanti tra loro.
La questione nasce dalla Carta Costituzionale, approvata nel contesto della nascita della giovane Repubblica Italiana e, nello specifico, dalle disposizioni transitorie, il cui articolo XII testualmente prevede: “ E` vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista.(…)”. La successiva legge 645/1952 sanziona chiunque promuova od organizzi sotto qualsiasi forma la costituzione di una associazione, di un movimento o di un gruppo avente le caratteristiche e perseguenti le finalità di riorganizzazione del disciolto partito fascista, oppure chiunque pubblicamente esalti esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche.
Quest’ultima previsione sanziona la cosiddetta apologia del fascismo, punibile con un arresto dai 18 mesi ai 4 anni. Ciò posto, nel corso degli anni si è spesso dibattuto sulla costituzionalità di tali previsioni, proprio in rapporto al diritto alla libera manifestazione del pensiero di cui all’articolo 21 della Costituzione e alla libertà di costituirsi in associazioni politiche e, in ogni caso, sulla necessità di dirimere in concreto il confine tra l’incitamento alla violenza e la legittima scelta di perseguire una diversa idea di Stato e di governo, nell’ambito delle libertà e dei diritti che la nostra Costituzione garantisce a tutti i cittadini.
Un reato o una opinione quindi?
La Corte costituzionale, nonostante sia stata spesso adita dalla magistratura ordinaria per risolvere il dubbio di legittimità costituzionale, non si è mai pronunciata sull’articolo 1 della legge (la ricostituzione del Partito Nazionale Fascista) perché si tratta di una imputazione che non è mai stata elevata a carico di nessun soggetto, ricorrendo la fattispecie nel solo caso di ricostituzione del disciolto partito fascista, teso cioè al ritorno di una dittatura fascista ma, invece, in merito all’articolo 4 della normativa (cd. apologia del fascismo) ne ha definito l’ambito applicativo, segnalando che il reato si configura quando l’apologia non consista “in una mera difesa elogiativa”, bensì in una esaltazione tale da potere condurre alla riorganizzazione del partito fascista, cioè in una “ istigazione indiretta a commettere un fatto rivolto alla detta riorganizzazione e a tale fine idoneo ed efficiente”.
In tale ottica, quindi, la normativa ancora esistente viene considerata costituzionalmente legittima, proprio perché tesa a sanzionare non il pensiero o l’idea ma la emersione di attività o comportamenti violenti, antidemocratici o sovversivi che ci riportino alle violazioni delle libertà e della democrazia compiute nel periodo del governo fascista.
Tornando ai giorni nostri, senza voler entrare nel merito del dibattito ma cercando di essere il più possibile aderenti al dato normativo ed alla oggettività dei fatti, tutti coloro i quali credono nella democrazia sanno che si tratta di un sistema di potere e di governo che si basa sulla sovranità popolare, ragion per cui è del tutto naturale e anzi auspicabile che l’esito di una consultazione elettorale determini un cambio nella cabina di comando, proprio per evitare un quadro di sostanziale immobilismo e consolidamento di posizioni di potere, spesso sostenute da frequenti episodi di trasformismo politico.
In buona sostanza, le elezioni si fanno perché l’opposizione deve avere la possibilità di andare al governo, altrimenti anche la democrazia si trasformerebbe in dittatura. Probabilmente, ancor più nell’anno del Signore 2022, le battaglie ideologiche dovrebbero farsi tornando agli strumenti della vera politica, raccogliendo le esigenze e i bisogni concreti dei cittadini e dando loro risposte, assumendosene direttamente la responsabilità, senza delegarla al tecnico di turno, nominato dall’alto o addirittura dietro la pressione dei cosiddetti poteri forti, spesso proveniente dall’estero.
Solo così si potrà evitare il commissariamento della politica e favorire il ritorno di una sana competizione elettorale tra idee e programmi diversi per il futuro del nostro Paese, senza evocare i fantasmi del passato.