Elezioni del 1992: arriva il terremoto
di Pierre De Filippo-
Il Corriere della Sera così le definisce il giorno successivo: “elezioni terremoto”. E lo sono davvero perché serve davvero un evento drammatico, un cataclisma per smuovere la politica italiana dal suo proverbiale immobilismo.
In realtà, come tutti gli scossoni che si rispettino, anche questo arriva inaspettato: fino a quel momento, a Palazzo Chigi era tornato a sedere lui, Giulio Andreotti, l’emblema del potere politico.
Con Craxi e Forlani aveva creato il CAF, un sistema che prevedeva l’alternanza al potere tra i tre leader, come se gli altri non ci fossero, come se non ci fossero i cittadini e le elezioni.
Impunemente.
Erano queste le dinamiche che avevano trasformato la Repubblica dei partiti in partitocrazia, nella sua accezione più deteriore. Ed era proprio questo che i cittadini, indignati, non volevano più accettare.
Ma non era solo questo: il ruolo dei media, in quegli anni, era incredibilmente cresciuto. Il varo della «legge Mammì» del 1990 aveva fotografato la realtà televisiva, fatta dal duopolio tra Rai e Mediaset, e la cronaca aveva lasciato spazio al gossip e all’opinionismo estremo.
Il movimento referendario di Mariotto Segni – figlio di quell’Antonio che era stato al Quirinale negli anni Sessanta – aveva introdotto la “preferenza unica”. Basta coi mille voti e mille candidati. Una persona un voto.
Il Presidente della Repubblica in carica, il sardo Francesco Cossiga, dopo anni di silente ordinaria amministrazione, aveva iniziato a «picconare» il sistema con esternazioni forti e chiare.
Un altro elemento che concorreva a far scricchiolare l’intera impalcatura.
Ancora, i due principali partiti di opposizione, il PCI ed il Movimento sociale italiano, si erano profondamente trasformati: con la «svolta della Bolognina» – a seguito della caduta del Muro di Berlino del 1989 – era nato il Partito democratico della sinistra, la “cosa”.
La sinistra perdeva, col tramonto sovietico operato da Gorbaciov, la sua impronta marxista per acquisirne una democratica.
A destra, invece, Almirante era morto ed aveva lasciato la segreteria al giovane Gianfranco Fini, che il fascismo non l’aveva conosciuto e del quale non era certo un prosecutore politico.
Due nuove storie, due nuove legittimazioni.
Ma il vero elemento che fece crollare il sistema fu rappresentato dalle indagini operate dalla procura di Milano, quelle che, prontamente, vennero ribattezzate “mani pulite”, che nessuno si presumeva avesse.
Tangentopoli era la città delle tangenti, della corruzione elevata a sistema, del malaffare e della politica del “magna magna”. Un’ombra fosca che pareva avvolgere ogni cosa.
I primi arresti, le prime confessioni, i primi soldi che appaiono e che scompaiono, come quelli intascati dal presidente del Pio Albergo Trivulzio a Milano.
Il pool – come quello siciliano nato per combattere la mafia – vivrà per due anni al centro delle attenzioni dei media: Borrelli, Di Pietro, Colombo, Davigo saranno inneggiati come i salvatori della patria, gli ennesimi della nostra nazione.
E la loro attività, tra le altre cose, condurrà al terremoto elettorale.
Il voto vede la Dc per la prima volta nella sua storia sotto il 30%, il Psi indebolirsi e così la nuova «cosa» della sinistra. I veri vincitori saranno la Lega Nord di Umberto Bossi, che se la prende con “Roma ladrona” e rivendica il federalismo per le zone più ricche del Paese, e La Rete di Leoluca Orlando, al grido “onestà, onestà” (corsi e ricorsi storici…).
Al caos seguirà altro caos: il 23 maggio, il giudice Giovanni Falcone verrà ucciso sulla strada di Capaci. Due giorni dopo, dopo uno stallo lunghissimo, il Parlamento eleggerà Oscar Luigi Scalfaro – “il meno democristiano di tutti” – Presidente della Repubblica.
Il 19 luglio anche Paolo Borsellino verrà ucciso, con un’autobomba, a via D’Amelio. La mafia affila le armi e lo Stato si fa cogliere impreparato.
Un sistema è stato abbattuto. Cosa ci aspetta ora?
