Basta Silvio
di Pierre De Filippo-
Era Padova e faceva caldo. Meno di oggi, perché era giugno, ma comunque faceva caldo. Lui parlava, con la sua voce roca e l’inconfondibile accento sardo. Aveva appena finito di dire che i voti andavano cercati “strada per strada, casa per casa”, quando aveva iniziato a stare male. In maniera evidente e piena di sofferenza.
I suoi elettori – che lo veneravano come un Dio, pagano ma pur sempre un Dio – avevano iniziato ad urlarglielo subito: “basta, Enrico…”. Lui no, voleva finire il discorso.
Lo finì, andò in hotel stremato, si addormentò, entrò in coma e morì dopo qualche giorno.
Si chiudeva così l’esistenza umana di Enrico Berlinguer, il più amato tra i segretari comunisti.
Qui è diverso: manca l’empatia, la preoccupazione, il coinvolgimento emotivo, il pathos. C’è solo la noia del già sentito, l’indifferenza del mille volte ripetuto o anche, per alcuni, il disgusto dell’ennesima presa in giro.
Basta, Silvio.
Chiariamo, questo “basta” non è una valutazione politica, ci mancherebbe, è una valutazione umana: anziano, tiratissimo talmente tanto da essere difficile da capire, da interpretare e ripetitivo come solo i nonni sanno essere. Ma quando sono i tuoi, i nonni, accetti pure che ti raccontino per l’ennesima volta la guerra, la gioventù e il mondo che non c’è più. Quando hanno la pretesa di “preoccuparsi per le future generazione” garbatamente gli andrebbe fatto notare che potrebbero tranquillamente farlo pensionandosi.
Accompagnato immancabilmente dalla bambolina Marta Frascina, che parla poco e, se lo fa, lo fa sottovoce, ostenta una giovinezza che è passata da quel dì.
Cosa ci sta proponendo Silvio Berlusconi per la sua ennesima campagna elettorale: portare le pensioni minime a mille euro, come vent’anni fa; piantare un milione di alberi, come venticinque anni fa; abbassare le tasse, come trent’anni fa; costruire un nuovo miracolo italiano: sono cinque volte che propone miracoli, più di Nostro Signore Gesù Cristo al quale, senza timore di errare, ritiene di essere, se non superiore, almeno alla pari.
E però, poi, la tassazione non è mai diminuita, gli alberi non sono stati mai piantati, le pensioni non sono aumentati e di miracoli abbiamo visto solo quelli di donne che si innamoravano della sua garbata cortesia.
Dunque, “Silvio, basta” è un messaggio umano.
Fermati qui, adesso che puoi. Fermati ora e passerai alla storia. Fermati perché il troppo storpia sempre e, con tutta sincerità, non siamo più disposti ad ascoltare la tua melensa cantilena di ciò che farai – ora che vai per la novantina – e che ha dimenticato di fare in trent’anni che ti conosciamo e che ti seguiamo.
Fermati prima di offendere l’intelligenza di troppe persone che ti vedono, ditino alzato, indicare come e perché rivoluzionerai per l’ennesima volta la nostra vita.
Fermati e rifuggi dalle frasi fatte: “mi candido al Senato perché tante persone me lo chiedono e io mi sento di accontentarle”.
Due cose oggi sono improponibili: la hybris, la tracotanza, e l’ipocrita modestia. Lasciale perdere, Silvio. Non fanno per te.
Sei partito promettendo la rivoluzione liberale e sei finito a regalare al populismo questo Paese. Era qui che dovevi dimostrare di essere uno statista, di avere una visione politica lungimirante. E invece, Silvio, hai fallito. Senza appello, in questo caso, per te che ne sei esperto.
Nell’anno di grazia 2022 ritirati. Racconta ai tuoi nipoti come e quanto sia stata avventurosa e ricca la tua vita. Ma fallo con loro, che avranno l’affetto per ascoltarti senza contraddirti.
Con noi, no; con noi basta, Silvio.
