Draghi braccato dai populisti
di Pierre De Filippo-
È parso visibilmente nervoso, Mario Draghi in conferenza stampa. L’aveva organizzata, insieme ad Orlando e a Giorgetti, per resocontare come fosse andato l’incontro coi sindacati, che da tempo reclamavano ascolto, e per annunciare le future mosse del governo in ambito economico. Il fatto che a fine luglio verrà varato un ulteriore provvedimento per sostenere il potere d’acquisto delle famiglie e ridurre il peso degli aumenti derivanti dall’inflazione è stato affiancato, per forza di cose, dalle “fibrillazioni” – come lo stesso Premier le ha definite – della maggioranza negli ultimi giorni e nelle ultime ore.
A fare l’ariete, cercando di scardinare l’Esecutivo Draghi, ci sta provando con sempre maggiore vigoria l’avvocato del popolo Giuseppe Conte che, a seguito della scissione dimaiana, sentiva un po’ il terreno mancargli sotto i piedi.
E prima le decise intemerate contro le mosse governative, e poi la difesa a spada tratta dei loro provvedimenti di bandiera (leggasi Reddito di cittadinanza e Superbonus), fino al papiello in sette punti con le richieste al governo.
Un sostegno muscolare perfettamente comprensibile con logiche elettoralistiche e di convenienza di partito. Poi, però, si è andati in aula, alla Camera, per votare il Dl Aiuti: il Movimento è uscito al momento del voto finale. Al Senato, però, voto di merito e voto di fiducia sul governo coincidono, perciò si rischia il muro contro muro e sempre per questo motivo Draghi ha anticipato tutti salendo al Quirinale già dopo la defezione a Montecitorio.
Conte ha definito la decisione del suo partito “coerente e lineare” con quanto detto nei giorni precedenti, non pentito perché “non c’è nulla di cui pentirsi” e pronto a far valere le proprie rimostranze. Reddito di Cittadinanza, Superbonus ed inceneritore: sono questi i tre temi principali, che si legano a due fatti politici di prima grandezza: la scissione di Di Maio e le inveterate di Landini, che si è detto pronto a “scendere in campo” pur senza fondare un suo, ennesimo partito. Gli spazi grillini, così, si ridurrebbero un bel po’.
In conferenza stampa, Draghi è stato durissimo nel dire che non si pensi di proseguire così, con questi ultimatum, se a settembre qualcuno intende riaprire le polemiche, meglio finirla qui. Si riferisce alla Lega? gli chiede una giornalista. Lui non risponde ma sì, si riferisce alla Lega.
Perché Salvini, come Conte, sta seguendo attentamente l’evolversi politico di questi giorni: questi sgambetti grillini possono penalizzarlo, lasciandolo a fare l’unico antiestablishment fedele a Draghi, cosa che proprio detesta.
È stato sprezzante contro legalizzazione delle droghe leggere e ius scholae, come se fossero dossier di iniziativa governativa e come se questi potessero, in concreto, destabilizzare il governo. È tutto un giuoco delle parti che sembra non aver fine.
E Berlusconi? Perché è entrato così a gamba tesa sulla questione, addirittura con un video in cui, sempre più intirizzito e stirato, ha chiesto al Premier una verifica?
Le malelingue, quelle che solitamente ci prendono sempre, dicono che il Cavaliere sarebbe quello che avrebbe più da perdere se, alla fine, si arrivasse ad una modifica della legge elettorale in senso proporzionale. Che voglia vedere conclusa l’esperienza governativa in anticipo?
Dispiace solo constatare, e a pochi mesi dalle elezioni politiche è bene sottolinearlo, che il movente dei nostri partiti, dei nostri leader è quasi esclusivamente egoistico ed elettoralistico. Stiamo continuando a fare – in mezzo a pandemie, guerre, inflazioni e tutto il resto – una politica di posizionamento antiquata e superata.
Guardiamo il dito e non la luna col rischio, più che concreto, di ciecarci senza, come Polifemo, poter poi incolpare qualcuno.
Le elezioni del 2023 sono troppo importanti per non essere improntate alla serietà e alla comprensione delle difficili condizioni nelle quali viviamo.
Votare sarà importante.
Votare bene sarà essenziale.
