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Bombardardata Kiev durante la conferza stampa con Guterre, segretario ONU

di Pierre De Filippo-

Visibilmente commosso, Antonio Guterres, portoghese e Segretario generale delle Nazioni Unite, ha visitato le tre città del martirio ucraino, Bucha, Borodyanka e Irpin. Nient’altro da dire se non che lì, in quelle città, la civiltà era morta e tutto era sprofondato sotto una spessa coltre di morte e distruzione.

Tutto ciò, ha anche aggiunto, senza che l’ONU abbia potuto muovere un dito, aprendo un lacerante squarcio attorno alla reale efficacia di questa istituzione.

“Quando vedo quegli edifici distrutti, immagino la mia famiglia in una di quelle case ora devastate e annerite. Vedo le mie nipoti correre in preda al panico. La guerra è un’assurdità nel 21esimo secolo. La guerra è malvagia e quando vedi queste situazioni il cuore ovviamente è con le vittime, le nostre condoglianze vanno alle famiglie”.

Sarebbe eccessivamente cinico chiedersi cosa possano farsene quelle famiglie delle condoglianze della comunità internazionale, sinceramente.

Prima di raggiungere l’Ucraina, Guterres era andato a Mosca – e ciò aveva provocato il malcontento di Zelensky, che ormai dà e promette un po’ a tutti, coerentemente col ruolo di difensore della sua patria che giustamente s’è attribuito.

A Mosca, seduto dall’altra parte dell’immenso tavolone che ormai abbiamo imparato a conoscere, Putin gli ha detto chiaro e tondo che senza Donbass e Crimea lui un negoziato vero non lo inizia nemmeno. È tutto lì il discorso, come ripetiamo da tempo.

Guterres ha risposto con le armi più che spuntate che ha in mano. In primo luogo, con le suppliche: “rispettate i corridoi umanitari. Permettete ai civili di evacuare”.

Non dipende da noi, gli avrebbe risposto lo Zar, sono le autorità ucraine che non lo consentono.

Un non-negoziato, una non-diplomazia. Tutto in un fangoso pantano.

Con la coda tra le gambe, quindi, Guterres ha lasciato Mosca e si è spostato a Kiev dove, nel frattempo, a Zelensky era smaltita la rabbia del ripiego.

Ed è qui che l’ordinarietà della guerra s’è trasformata in lucida follia: mentre Guterres e Zelensky tenevano la loro conferenza stampa, la città è stata colpita da un attacco missilistico che si è concentrato nella zona nella quale ha sede l’ambasciata britannica.

Il sindaco di Kiev ha immediatamente attribuito le colpe ai russi, com’è facile immaginare, e Kuleba, l’ormai noto Ministro degli Esteri, ha definito quello russo come “un efferato atto di barbarie”.

I feriti sarebbero dieci ma, come si sa, in queste circostanze è davvero difficile che le informazioni fornite siano attendibili.

Certo, colpisce il luogo nel quale i missili sono esplosi: l’ambasciata britannica. Proprio nei giorni scorsi, Boris Johnson aveva detto che era pieno diritto dell’Ucraina utilizzare le armi Nato per colpire la Russia anche sul suo suolo, e Lavrov – comprensibilmente – aveva replicato che, se ciò fosse avvenuto, anche Mosca si riteneva autorizzata a colpire i Paesi che sovvenzionano e riforniscono Kiev sul proprio territorio.

Che questo sia un primo avvertimento? Può essere. Anche perché, sostengono gli esperti, questo tipo di missile non esplode all’impazzata, non è una granata. Esplode lì dove chi lo sgancia vuole che esploda.

Unanimi le parole di Guterres e Zelensky.

“Sono scioccato” dice il primo, “perché Kiev è una città sacra sia per gli ucraini che per i russi”.

“L’attacco”, aggiunge Zelensky, “la dice lunga sul vero atteggiamento della Russia nei confronti delle istituzioni globali, sugli sforzi della leadership russa per umiliare le Nazioni Unite. Serve una risposta potente”.

Una politica di potenza un po’ grossolana quella di Mosca, che prima ospita Guterres e poi gli fa piovere in testa cinque missili, come a voler dimostrare di essere ancora il negoziatore che ha il coltello dalla parte del manico.

Quando, però, si arriva a queste dimostrazioni di forza, più influenzate dalla frustrazione che dal cinico calcolo, occorre stare attenti: la frustrazione spesso porta lì dove non porterebbe neanche l’odio.

 

 

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Pierre De Filippo Pierre De Filippo

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