La libertà al giorno d’oggi
-di Giuseppe Esposito-
Si parlava giorni fa di Libertà e per una inattesa associazione di idee mi son tornate in mente le parole di una canzone di Gaber, una vecchia canzone, risalente al 1973 il cui ritornello faceva così:
La libertà non è star sopra un albero
Non è neanche il volo di un moscone
La libertà non è uno spazio libero
Libertà è partecipazione.
E, rimandando a fior di labbra quelle parole, ho dovuto convenire che solo un vero artista può giungere ad una sintesi così illuminante della realtà, quell’identificare la libertà con la possibilità di esser protagonisti, di partecipare all’elaborazione di un’idea di società e di futuro è davvero sorprendente. Trovo che una tale definizione della libertà sia inconsueta ma aderente al vero. Solo un uomo libero può sognare il futuro ed agire perché esso si possa realizzare. La definizione è originale e perfino utopica. Appare frutto del tempo in cui fu elaborata, quegli anni seguiti all’avvento del movimento del Sessantotto caratterizzati da una fiammata libertaria e dal tentativo delle giovani generazioni di prendere in mano la propria vita e decidere di essere protagonisti, sognatori identificandosi in slogan come “la fantasia al potere”.
Il movimento cercò di superare la sclerosi in cui la società, nata dopo la guerra al nazifascismo, si era venuta a trovare e di rinnovare il clima di una politica oramai stagnante, ma si avvitò poi, purtroppo, in una spirale di violenza che caratterizzò quegli anni definiti, poi “anni di piombo” dal titolo del film della regista tedesca Margarethe von Trotta. Anni quelli in cui il terrorismo insanguinò le città italiane ed europee.
Il Sessantotto fu salutato a lungo come rivoluzione progressista e libertaria, ma oggi ci appare solo come il simbolo della crisi dell’Occidente ed invece che una nuova spinta verso la libertà ha gettato le basi per il trionfo finale del capitalismo. Dalla libertà si è passati al liberismo e poi ancora al neoliberismo oggi imperante. Nacque il movimento che rivendicava la libertà dalla crisi della società occidentale e sembrò che dovesse incarnare l’anima più profonda della sinistra ed ergersi a paladino degli ultimi, ma virò infine, da una sinistra comunitaria ad una sinistra individualista e liberale, forse a causa del clima politico che caratterizzava il mondo di quegli anni.
Il clima della guerra fredda tra le due maggiori potenze che insieme avevano sconfitto, insieme, le dittature nel rogo terribile del secondo conflitto mondiale ma che poi si erano rivolte l’una contro l’altra. L’URSS aveva trasformato, a sua volta, l’idea comunista in una terribile dittatura, e gli Usa che si dichiaravano patria della libertà fomentavano a loro volta le dittature più diverse nell’America Latina ed anche altrove.
L’idea utopica della libertà sembrava non potesse essere pienamente accettata né ad est né ad ovest. Se in Russia la libertà era stata sepolta sotto il peso di un regime autoritario dichiarato, ad ovest, come ha spiegato bene il francese Jean Claude Michéa, i valori libertari ed antiautoritari del Sessantotto invece di emancipare l’Uomo e renderlo libero, hanno favorito le dinamiche perverse del Capitalismo. Si è passati dall’enfasi sulla libertà assurta a valore massimo a legittimare il liberismo cui ha fatto da puntello l’individualismo sfrenato, insofferente di ogni inibizione e di ogni freno.
Così, il libero mercato ha finito col trionfare ed ha assunto come slogan vietato vietare. L’eccesso di democraticismo che tutto tende a livellare ha prodotto una scuola in cui non si boccia ed il cui risultato ha fatto tabula rasa culturale e fatto in modo che il paese scivolasse in un analfabetismo funzionale.
In questo contesto decadente si è affermato il capitalismo che ha nei bisogni indotti la sua ragion d’essere e l’uomo si è ritrovato schiavo invece che libero. Uno schiavo inconsapevole, contento della sua condizione, perché non più in grado di valutarla nella sua vera natura.
I vecchi legami di comunità quali la Famiglia, la Chiesa e lo Stato sono stati dissolti, accusati di essere fascisti e si è aperta la strada ad un individualismo senza limiti, basato sulla retorica dell’uomo libero artefice di se stesso la propria base ideale. E messi da parte quei valori, si è assistito al paradosso di un capitalismo di destra che si è servito della morale libertaria di sinistra per arrivare al suo trionfo.
Quella libertà cui aspiravano le classi più deboli è oggi appannaggio dei più forti, di quelle élites che hanno in mano le sorti del mondo.
Sul terreno preparato dalla involuzione del Sessantotto si è innestato, a partire dai primi anni 2000, un neoliberismo spinto dalle politiche della Thatcher e di Reagan con un’idea del mondo che è una estremizzazione del precedente liberismo e che tende all’affievolimento del potere degli stati, a favore del mercato e che ha prodotto la presa di controllo dello Stato da parte delle lobby multinazionali e delle élites finanziarie.
Lo Stato è stato svuotato dall’interno attraverso le privatizzazione dei profitti mentre i costi e le perdite sono rimaste a carico delle casse pubbliche.
Una forte critica ai guasti del neoliberismo è stata condotta da Noam Chomscky che ha segnalato come i guasti creati dalle politiche neoliberiste abbiano messo in luce la debolezza del suo impianto ideologico. Esse, infatti, hanno portato all’insorgere di crisi di livello globale paragonabili solo a quella del ’29 dello scorso secolo e forse ancora più distruttive.
In nome della globalizzazione, sostenuta dal neolibersimo, e venduta come una panacea che avrebbe riequilibrato le economie di tutti i paesi del mondo molti paesi occidentali, tra cui il nostro sono stati privati del proprio apparato industriale e la totalità quasi delle attività manifatturiere sono state spostate in paesi in cui, a detrimento dei diritti civili si ha uno costo del lavoro estremamente basso. In questo modo le multinazionali possono incrementare i loro profitti sfruttando la manodopera dei paesi emergenti.
Questa gestione dell’economia ha prodotto l’annientamento delle vecchie classi operaie e l’impoverimento delle classi medie. Il lavoro si è rarefatto e le giovani generazioni sono state precarizzate.
Oggi, per la prima volta nella storia, i giovani si trovano davanti un futuro che è peggiore di quello dei padri. Si tenga inoltre presente che anche il progresso tecnologico tende a ridurre la quantità di manodopera necessario nelle attività manifatturiere e ciò va a completare il quadro desolante che ci troviamo davanti. In un mondo simile, la gran parte della popolazione si ritrova alle prese con problemi attinenti la propria sopravvivenza ed il problema della libertà passa in secondo piano. La società ha fatto dei grandi passi all’indietro e spesso gli individui non se ne rendono neanche conto, poiché non riescono ad alzare lo sguardo dalla loro misera condizione attuale. Oggi, lottare per la libertà è divenuto quasi inattuale, nel momento in cui forse più sarebbe necessario.
In questi strani anni del nuovo secolo, la sinistra ha inoltre abbandonato completamente la difesa dei diritti sociali e del lavoro, sostituendola con quella dei diritti civili. I diritti sociali, quei diritti materiali, connessi alle forme della comunità sociale proletaria o borghese, sono stati negletti e sostituiti con quelli civili in una operazione che sembra quasi di cosmesi volta a far dimenticare l’attenuazione dei diritti fondamentali di una società civile. Quei diritti senza i quali non vi è libertà.
Tra l’altro questo trend verso la perdita della libertà si svolge con l’approvazione stessa delle masse manipolate dai mezzi di informazione che sono, oramai detenuti dalle élites che detengono il vero potere. Oggi quelle masse hanno completamente perso di vista tutto ciò che riguarda i rapporti di forza economici di tipo classista e tendono a considerare i rapporti all’interno del contesto sociale, secondo le categorie volute da coloro che detengono il controllo dell’economia e che hanno imposto la precarizzazione a livello globale.
Siamo insomma, oggi, in una società in cui il deficit di libertà non è più chiaramente percepito e quindi non si avverte l’esigenza di battersi per il suo ripristino.
Urge un nuovo umanesimo. Occorre rimettere al centro l’uomo e rimetterlo in condizione di tornare ad essere protagonista e riprendere di immaginare il futuro per sé. Di porsi degli obbiettivi e di poter operare per realizzarli.
Manca all’uomo di oggi una chiara visione della società e la coscienza della perdita di quel valore fondamentale che è la libertà. Oggi bisogna tornare a comprendere la vera libertà è la partecipazione al processo di elaborazione del proprio destino. Per questo occorre, così come cantava Gaber nel lontano 1973, tornare a prender parte al processo di elaborazione del futuro del mondo. Ed occorre farlo prima che sia troppo tardi. Oggi la libertà corre dei seri rischi.