Il logorio della guerra

di Pierre De Filippo-

La guerra logora, non c’è che dire. Logora chi ce l’ha in casa e logora anche chi può immaginare di stare, spesso sbagliando, a debita distanza di sicurezza.

Perché, al pari di un virus, anche una guerra è contagiante e si sposta alla velocità della luce seguendo l’effetto domino. Lo abbiamo visto col rincaro degli ultimi tempi – energia, benzina, beni di prima necessità – che sicuramente della guerra ha risentito; lo abbiamo visto col nuovo irrigidirsi delle posizioni politiche rispetto all’aumento delle spese per la difesa – Giuseppe Conte, neorieletto presidente del Movimento ha garantito che lui si batterà affinché ciò non avvenga –, lo abbiamo visto perché i tanti riferimenti russi agli armamenti nucleari, alla “fine del mondo”, alla terza guerra mondiale non possono farci dormire sonni tranquilli.

La settimana che si è appena conclusa è stata importante perché s’è fondata sul dialogo tra i leader del mondo libero, espressione che pareva ormai archiviata e che, invece, faremmo bene a riprendere.

Biden, volendo essere lapidari, è troppo: troppo chiaro, troppo impulsivo, troppo placidamente categorico. Putin è tutto ciò che lui gli attribuisce e forse anche altro ma l’offesa e l’invettiva non hanno senso in questi casi, soprattutto se dall’altra parte c’è qualcuno che non sembra farsi scrupoli.

Farebbe bene Biden ad abbassare i toni. Se la diplomazia è diplomatica ci sarà un perché; diversamente l’avrebbero chiamata irruenza, impulsività, “guerrafondaismo” per citare i miti fascisti.

La domanda, a questo punto, resta la stessa: cosa vuole Putin? Le informazioni che giungono dal campo confermano la difficoltà e la lentezza della marcia d’avvicinamento a Kiev e alla vittoria. Fosse una partita di calcio diremmo che i russi non riescono a sfondare l’orgoglio ucraino. E allora cosa si fa? Si “ripiega” su Mariupol, ormai eletta a sineddoche tristissima di questo inutile conflitto. Lo abbiamo detto mille volte ma repetita iuvant: Mariupol si trova esattamente sulla direttrice che collega la Crimea dal Donbass.

Il ragionamento di Putin è lineare: male che vada, chiedo all’Ucraina di lasciarmi il Donbass e la Crimea e questi due territori saranno legati dal “corridoio di Mariupol”. In attesa di prendersi tutta l’Ucraina est, quella al di là del fiume Dnipro, e piazzarci un Lukashenko di turno.

Questo dal fronte della guerra.

Tre temi interni sui quali grande è il dibattito: l’aumento delle spese militari, il ruolo dell’Anpi, il caso Orsini.

La Nato, coerentemente con gli accordi presi, ci chiede di aumentare la spesa militare fino al 2% del nostro Pil, tutti d’accordo tranne il Movimento 5 Stelle. La situazione non è così di semplice valutazione perché guai a farci prendere dalla preoccupazione del momento. È utile farlo? Anche io sono scettico. Ma l’unico modo che abbiamo per ottimizzare questa spesa è creare un sistema di difesa comune.

Com’era quello slogan? “Pagare tutti per pagare meno”. Con una vera difesa europea anche le richieste della Nato si farebbero meno intense perché garantite da una struttura che, in pratica, una volta messa su funziona da sola.

Punto due: il ruolo dell’Anpi e degli amici del “se Zelensky è un patriota si arrende”. C’è qualcosa che non torna in questa ricostruzione: se, sugli Appennini, si fosse ragionato così oggi chissà dove saremmo. Smetta di fare politica l’Anpi, non se ne avverte proprio la necessità, e continui a portare avanti la memoria storica di ciò che è stato possibilmente per evitare che si ripeta, non per giustificarlo.

Terzo punto: l’amico Orsini. Il problema è di metodo e quasi mai di merito: stipuli un contratto onerosissimo senza una reale motivazione, se non quella di accaparrarti l’one man show del momento. Ti aspetti che faccia trash, che ti parli del Messico e di quanta ragione abbia Putin. Poi lo fa e lo mandi a casa.

Anche qui c’è qualcosa che non va.

Orsini vive in Italia e, in quanto tale, è libero di esprimersi – a differenza di ciò che pensa l’ambasciatore russo in Italia che ha querelato La Stampa ed il suo direttore Massimo Giannini – e noi non aspettiamo altro che lui lo faccia. Sarebbe bastato che la Rai gli avesse contrapposto un suo parigrado, un suo omologo di posizioni diverse e, forse, più razionali e logiche e la bomba, anziché sgonfiarsi, si sarebbe gonfiata ancora di più.

È mancato coraggio ed è mancata una certa dose di cazzimma. Peccato.

 

 

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