Storie di campioni: Roberto Baggio, più di un semplice rigore
di Emanuele Petrarca
Ci sono giocatori che poi vengono etichettati per una singola giocata, giusta o sbagliata che sia, con quell’erroneo pensiero che possa, in qualche modo, un singolo fotogramma riassumere una carriera intera.
Questo, però, non è il caso di uno dei calciatori più forti e di classe che il movimento calcistico italiano ha mai visto, ovvero Roberto Baggio.
Quando si parla di Roberto Baggio, è come se si entrasse in una dimensione cosmica che ti fa perdere, tutto ad un tratto, il senso del tempo e della ragione perché ogni aggettivo che vorremmo utilizzare sembra sempre estremamente riduttivo rispetto a ciò che vorremmo realmente dire.
Di giocate libidinose ne ha fatte tantissime, prendendosi sempre le copertine di ogni giornale e non solo: il mondo intero andava in giro con il “codino” per essere come Baggio, ogni ragazzino italiano aveva un poster a casa che immortalava Roberto e non è da tutti avere la capacità di essere amato da tutta Italia, nonostante abbia indossato le maglie di squadre rivali.
Nonostante ciò, anche Baggio ha la sua “immagine”, la fotografia che lo condanna a pensieri superficiali e che ancora oggi lo tormenta: il rigore sbagliato a Pasadena nel 1994 durante la finale dei Mondiali tra Italia e Brasile.
Citando la canzone che Diodato gli ha tributato, c’è un uomo dietro al campione e quell’uomo, come lui stesso ammise, ha ricorrente nella mente il fotogramma di quel rigore calciato troppo alto e che ha sempre visto come l’infrangersi del sogno di una vita.
Roberto voleva più di ogni altra cosa al mondo quel mondiale, perché pensava avrebbe consacrato la sua carriera in maniera ancor più netta del Pallone d’Oro conquistato.
Eppure, quel suo pensiero, fu tanto sbagliato quanto la stessa esecuzione del rigore. Nella magia di Baggio c’è anche quella di “umanizzare” un gesto tecnico errato. Nel cuore di milioni di italiani non c’è mai stato solo quel rigore, ma anche le immagini delle gesta del più grande fuoriclasse che l’Italia abbia mai avuto.
Se riuscimmo a raggiungere la finale contro il Brasile fu proprio grazie a lui: al gol allo scadere contro la Spagna, alla doppietta che stese la Bulgaria e tanto altro.
La figura del Divin Codino va oltre i due scudetti, la coppa Italia vinta e la coppa UEFA conquistata con la Juventus che gli valse il Pallone d’oro. Va oltre anche a tutte le magie fatte con le maglie di Fiorentina, Juventus, Bologna, Brescia, Inter, Milan e con la nostra Nazionale.
Quel rigore ricordò a tutti che anche lui è stato umano in quel minimo frammento di vita contornato di giocate sacre sfoggiate in carriera e che ci hanno fatto innamorare del calcio.
Perché a Baggio gli si poteva perdonare tutto e quel caldissimo giorno d’estate del 1994 capimmo che era uno di noi che, in quel momento, aveva bisogno del sostegno di tutti per rialzarsi. Ecco perché quando scendeva in campo, non c’erano mai fischi ma applausi, ecco perché, da quando ha smesso, non è più domenica.