Guerra: le notizie dell’undicesimo giorno
-di Pierre De Filippo-
Non si vede ancora la luce in fondo al tunnel, se non quella accecante e distruttiva delle deflagrazioni e dei bombardamenti. Siamo ancora qui a parlare di questo, come fosse il primo giorno.
Alla fine sono partite, a comunicarlo il servizio stampa del Municipio della città: “l’evacuazione dei civili da Mariupol è iniziata”. Una buona notizia. I corridoi umanitari servono a questo e devono essere garantiti in ogni circostanza, ora starà a noi, all’Europa, accogliere e dare ospitalità – questa volta in maniera convinta – a “persone che scappano dalla guerra”. Anche perché si era davvero giunti – come ha testimoniano la BBC – “sull’orlo di una catastrofe umanitaria”.
La situazione, invece, non pare sbloccarsi nella città di Bucha e Gostumel, dove spari contro i civili – ci sarebbero già tre morti – bloccherebbe il loro passaggio. Anche a Kiev c’è allerta rossa per il rischio di un attacco aereo.
La guerra si consuma così, tra strappi e ricomposizioni.
Una importante ricomposizione l’ha tentata ieri il Premier israeliano, paesino non di poco conto nello scacchiere mondiale, Naftali Bennett. Ieri sera, incontrando l’omologo Scholz a Berlino, l’israeliano aveva detto che “l’obbiettivo comune resta quello di porre immediata fine alla guerra. Lavoreremo per questo”.
Poi prosegue: “ho l’appoggio di tutti i protagonisti. Sono andato a Mosca e Berlino nell’intento di favorire il dialogo tra le parti. Ovviamente ho ricevuto il benestare e l’incoraggiamenti di tutti i protagonisti. Continueremo ad agire nella misura in cui ci verrò richiesto”. Ha poi aggiunto che “le probabilità non sono molte ma se c’è una piccola fessura il nostro obbligo morale è di fare ogni tentativo. Finché la candela è accesa dobbiamo sforzarci”.
Mosca, Berlino ma anche Kiev. Anche Zelensky ha chiesto a Bennett di mediare tra le due parti.
Che sia l’inizio di uno spirito collaborativo che riguardo anche l’annosa questione di Israele e Palestina? Ce lo auguriamo.
Poi, Zelensky ha parlato con Biden e Putin con Erdogan. Il leader turco ha insistito sulla necessità di “garantire il cessate il fuoco, aprire i corridoi umanitari e firmare il trattato di pace”. Più facile a dirsi che a farsi visto che i russi continuano a bombardare – è il turno della zona ovest di Kiev e dell’aeroporto di Vinnytsia mentre il secondo round di smobilitazione da Mariupol è fermato da nuovi attacchi – e Putin è chiaro: “ci fermeremo quando avremo vinto e ci siederemo al tavolo delle trattative solo quando Kiev avrà deciso di accontentarci”.
Non è una negoziazione questa, è una imposizione, una forzatura.
“Ho discusso con il Presidente del Consiglio Mario Draghi del modo per contrastare l’aggressione. L’ho informato sui crimini della Russia contro i civili, sul terrorismo nucleare. Ed è stata sollevata la questione del sostegno all’Ucraina e dell’esame della nostra domanda di adesione in Europa”.
È un bene che i due si siano sentiti, dopo le scaramucce dei giorni scorsi.
Rimane invece in piedi l’idea americana di far giungere in soccorso dell’Ucraina la Polonia tramite l’invio di aerei militari caccia. Pare una pessima idea, soprattutto visti i difficilissimi rapporti tra Mosca e Varsavia. Basterebbe una scintilla per far divampare un incendio, quello sì, di proporzioni spaventose.
Domani riprendono i negoziati. Sperando ci sia maggiore voglia di incontrarsi davvero.
Ps: c’è un’altra notizia, due bambini uccisi insieme alla loro mamma. Non voglio raccontarvela. La guerra ha le sue regole, è vero, ma anche chi decide di fare cronaca ha le sue e non è vero che sempre the show must go on.