17 Febbraio 1816, l’invenzione dello stetoscopio
-di Giuseppe Esposito-
Vi sono oggetti nella nostra vita quotidiana che sono divenuti così comuni, quasi banali, di cui nessuno si chiede mai chi sia stato ad aver avuto l’intuizione che ha portato a concepirli. Un caso tra i tanti, è quello dello stetoscopio, uno strumento così semplice, divenuto quasi l’emblema di una categoria, quella dei medici, che lo portano costantemente intorno al collo o nel taschino del camice. Li vediamo negli ospedali o anche nelle tante fiction realizzate in ambiente ospedaliero. Non v’è medico reale o di fantasia che ne sia privo. È lo strumento usato durante qualsiasi visita medica per arrivare ad una diagnosi basata sui rumori interni del nostro organismo, in particolare quelli associati al battito cardiaco, quelli dovuti al funzionamento delle valvole del cuore e quelli associati invece al passaggio dell’aria attraverso l’apparato respiratorio.
Eppure questo strumento così diffuso e così semplice nacque grazie al francese Renè Laennec, un importante medico francese vissuto tra la fine del Settecento ed i primi dell’Ottocento.
Egli nacque il 17 febbraio 1781 a Quimper , nel nord della Francia. All’età di soli cinque anni fu privato della madre, morta a seguito di una tubercolosi. Suo padre funzionario del Ministero della Marina era sempre in viaggio e non era, quindi, in grado di accudire suo figlio. Il ragazzo fu allora accolto in casa di uno zio medico e professore universitario. Cresciuto, quando ebbe l’età per iscriversi all’università, seguì l’esempio dello zio e scelse la Facoltà di Medicina, laureandosi nel 1804. Il suo campo di interesse professionale furono le malattie polmonari, in ricordo forse della causa di morte della madre.
Per redigere le sue diagnosi, egli nel corso delle visite adoprava la tecnica messa a punto dal medico austriaco Joseph Leopold Auenbrugger, che era quella, ancor oggi adoperata, che consiste nel tamburellare con la punta delle dita vari punti del torace del paziente ed ascoltare il suono che si produce.
Si narra che l’occasione che spinse il Laennec ad inventarsi un nuovo metodo per vistare i pazienti si presentò quando gli si presentò una donna, affetta da problemi cardiaci, talmente sovrappeso da rendere impossibile la diagnosi con la tecnica solita. Allora il Laennec, per riuscire a sentire i rumori interni prese un foglio di carta, lo arrotolò in forma di cilindro e appoggiò un’estremità di esso al seno della donna, mentre all’altro estremo poggiava il suo orecchio.Un’altra versione dei fatti narra invece che, essendo il medico profondamente religioso, si trovò imbarazzato dal dover poggiare il suo orecchio sul seno nudo della paziente ed escogitò quindi l’escamotage del cilindro di carta.
Era in ogni modo nato il primo rudimentale prototipo di stetoscopio. Successivamente Laennec mise a punto modelli più efficienti dello strumento realizzati in legno. Grazie a questo strumento egli fu in grado di stilare una classificazione dei diversi rumori interni, legando ciascuno di essi ad una particolare patologia. Fece in questo modo importanti scoperte relative a malattie quali la peritonite e la cirrosi.
Il nome che diede al suo strumento, cioè stetoscopio deriva da due termini greci, ossia στήθος, stéthos, «petto» e σκόπιον, skòpion, der. di σκοπέω «osservare. Quanto al metodo egli lo definì auscultazione, questa volta dal latino auscultare.Insomma, grazie al suo strumento le capacità diagnostiche dei medici fecero un notevole passo avanti. Purtroppo in base ad una sorta di nemesi, più tardi, un suo nipote, medico anch’egli, gli diagnsoticò una forma di tubercolosi, che come già avvenuto a sua madre, lo porterà alla morte, avvenuta nel 1826, quando egli aveva solo 46 anni di età.
Lo stetoscopio moderno è formato da una testina che è il ricevitore dello strumento e va appoggiata sul torace del paziente, per captarne i suoni interni. Al suo interno vi sono due membrane fluttuanti sensibile ciascuna ad una gamma di frequenze, le alte o le basse. Per passare da una zona all’altra del campo di frequenze si esercita una maggiore o minore pressione sulla testina. Con la basa frequenza si ascoltano i rumori fisiologici come quelli del respiro, con le frequenze alte, invece, si auscultano i suoni patologici. Alla testina è collegato un tubicino flessibile, detto collettore, che si dirama poi in due tubicini di minore calibro, che costituiscono l’archetto ed alle estremità dei quali sono saldamente fissate due olivette in gomma, da appoggiare alle orecchie del medico.
Oggi, sebbene lo strumento ideato da Laennec sia ancora largamente usato, sono in molti a sostenere che le nuove tecniche digitali siano molto più precise della auscultazione fatta dal medico e che pertanto, prima o poi, lo strumento diverrà obsoleto e finirà in soffitta o nei musei di medicina.
Tuttavia il loro mancato uso renderà la sensibilità dei medici meno acuta ed essi diverranno dipendenti da strumenti il cui funzionamento gli è completamente ignoto. Una sorta di ridimensionamento della sensibilità dell’uomo nella pratica della medicina e del suo rapporto sempre più impersonale col paziente, a differenza di quella che era la figura del medico nella medicina che conoscevamo.
La capacità diagnostica e terapeutica ne saranno affievolite essendo il medico spinto a focalizzarsi più sulla malattia che sul malato. L’interazione clinica medico-malato ne sarà stravolta ed la capacità di colloquiare e di ascoltare il malato tenderanno a scomparire col rischio di rendere sempre più il paziente un mero oggetto di una cartella clinica. Ciò ci precluderà la possibilità di avere clinici del livello di un Antonio Cardarelli, di un Domencico Cotugno, di un Giuseppe Moscati o di un Leonardo Bianchi, i clinici più famosi per la loro capacità di empatia col pazienta della celebre scuola napoletana.
