Il gelso rosso, il libro di Guaccio alle falde del Vesuvio
-di Giuseppe Esposito-
Gennaro Maria Guaccio si può senz’altro definire una figura atipica nel panorama letterario napoletano. Napoli del resto è una città che non smette mai di sorprenderci ed il fatto che un autore napoletano abbia l’imprinting della originalità sembra quasi inevitabile. E Gennaro Guaccio che è un napoletano, classe 1948, non poteva certo esser privo di quella caratteristica.
Possiamo inerire il Guaccio in un fenomeno apparso eccezionalmente nel nostro Novecento letterario, quello degli ingegneri convertiti alla scrittura. Ci riferiamo, fatte le debite proporzioni, a quelle figure quali Gadda o Quasimodo, quei mostri sacri che nati ingegneri sono passati alla storia per motivi tutt’affatto differenti, legati alla letteratura. Anche Gennaro Maria nasce ingegnere per essere poi sedotto più tardi dalla letteratura. Ma qualcosa in fondo al suo animo doveva già covare in gioventù, se, dopo la laurea in ingegneria chimica si impegnò a conseguirne una seconda in Scienza religiose. Egli si è, pertanto, portato dentro, sin dalla gioventù questo suo duplice interesse, per le cose umane e per quelle divine. Interesse che si legge, in filigrana in tutte le sue opere.
Guaccio ha trascorso la vita ad insegnare negli istituti tecnici, ma quegli interessi lo hanno, via via, spinto, verso il finire della sua carriera lavorativa verso la letteratura e ad impegnarsi in attività ad essa connesse. Verso l’inizio del nuovo secolo fondò l’associazione culturale “I Ponti dell’Arte” e con essa organizzò per qualche decennio un premio letterario di poesia e narrativa. Il patrocinio all’iniziativa era data dai Padri Passionisti, tanto per rimanere nell’area di interesse dell’autore e la cerimonia di premiazione si teneva nella bellissima chiesa seicentesca annessa al convento di via Santa Maia ai Monti, una zona non ancora deturpata dalla cementificazione.
Nel frattempo Guaccio iniziava a pubblicare anche dei romanzi. Il suo primo fu “La festa dei fichi” del 2003 cui seguiranno “Il Barone borotalco” del 2008, “Tu che bevi il mio caffè” del 2011, “Ritratto di Daniela” del 2017, “La vigna” del 2019 ed infine “Il gelso rosso” del 2020.
Una delle costanti nei romanzi di Guaccio sembra essere l’ambientazione. Infatti, la gran parte dei suoi racconti si svolgono nelle terre alle falde del Vesuvio. Terre che, evidentemente hanno avuto una qualche funzione importante nella giovinezza dell’autore.
Infine l’altra costante è l’importanza data sempre alle figure femminili. Nei suoi ultimi romanzi sono donne le protagoniste assolute della narrazione.
Ed il suo ultimo “Il gelso rosso”, non viene meno a questa tradizione oramai consacrata. La protagonista è una certa Rosa Alfano, figlia di contadini ed a cui è stato imposto il nome della Luxembourg, figura assai ammirata dal padre che ne aveva sentito parlare da un suo cugino attivista del PCI. Nonostante le umilissime condizioni della famiglia di origine, Rosa, grazie anche all’aiuto del parroco don Serafino e dello zio Giorgio, riesce a studiare ed a conseguire il diploma magistrale. Ma la ragazza non si ferma qui e continua ad approfondire la sua formazione sui testi che le sono consigliati dallo zio. Infine entra a far parte del PCI, il partito che era stato in prima fila nella lotta al nazifascismo e che avrà poi una parte importante nella scrittura della nostra Costituzione, una delle più avanzate del mondo. Ma Rosa, insofferente al mondo chiuso del suo paese d’origine, aspira ad altre avventure ed andrà a risciacquare, politicamente parlando, i suoi panni nelle acque della Senna.
Nella capitale francese avrà incontri importanti e si troverà al centro di quel movimento del ’68 che darà una spinta fortissima al cambiamento della nostra società. Nel frattempo rientrerà in Italia dove il suo contributo sarà grandemente apprezzato nelle file della sinistra marxista. Intreccerà anche una storia d’amore con un uomo conosciuto ai tempi della giovinezza e poi rincontrato. Storia delicate e sofferta, ma mai confessata. La traccia di quella storia resterà nel nome, che il compagno Antonio accetterà, inconsapevole, di imporre al figlio frutto di quella relazione. Figlio a cui Rosa non sopravviverà che per pochi giorni.
Il romanzo è molto articolato e ricchissimo di riferimenti di grande suggestione.