Vi racconto un quadro … La grande onda di Kanagawa
-di Giuseppina Russo-
Quella che vi racconto oggi è una xilografia famosissima: La grande onda di Kanagawa, realizzata dall’artista giapponese Hokusai (1760-1849): forse è la più famosa delle opere figurative giapponesi.
La xilografia è una particolare tecnica di stampa: si intaglia una tavoletta di legno asportando dalla superficie tutto ciò che non è disegno, poi si inchiostra e si stampa quante volte si vuole, o almeno fin quando il legno non si usura. Pensate che di questa Grande onda si stima siano state stampate ben 5000 copie; moltissime sono andate perse ma molte le potete trovare nei più grandi musei del mondo: il Metropolitan di New York per esempio, che vanta una delle prime copie stampate e quindi una fra le più nitide, il British di Londra, il Museo d’Arte Orientale di Torino, il Museo Guimet di Parigi…
Ma guardiamo l’immagine: ci sono tre barche e sono preda della GRANDE ONDA.
A bordo delle tre barche, i pescatori: sono otto ai remi più due a prua e non sembra che mostrino alcuna agitazione, intenti come sono a vogare per resistere alla forza dell’onda che viene loro incontro per travolgerli.
E guardate lì in fondo, nel punto di fuga della composizione: quella che a prima vista sembra la cresta dell’onda più lontana è in realtà la cima innevata del monte Fuji, montagna sacra e simbolo del Giappone.
E proprio questa montagna è la vera protagonista dell’immagine: l’opera infatti è la prima della serie intitolata “TRENTASEI VEDUTE DEL MONTE FUJI” che Katsushika Hokusai, questo il nome per esteso dell’artista, produsse quando aveva settant’anni e… un bel po’ di debiti da saldare, pare per colpa di un nipote spendaccione che viveva alle sue spalle.
Tutto in questo capolavoro è o bianco o blu, anzi blu di Prussia, il pigmento sintetico importato in quel periodo dai Paesi Bassi e che rivoluzionò la produzione di Hokusai. A meno del legno chiaro delle tre imbarcazioni, è blu l’acqua, è blu il vulcano, sono blu le vesti che i pescatori indossano a primavera mentre bianca è la neve sul Fuji e bianca è la cresta delle onde che si frantumano in decine di riccioli nel disegno di una spirale.
O quella è la sagoma di un dragone? Qualcuno ha voluto anche vedere nell’abbraccio dell’acqua con lo sfondo del cielo il simbolo dell’interazione fra Yin e Yang…
Una contrapposizione dunque fra la natura violenta e arrogante, interpretata dall’onda/drago, e la fragile umanità, interpretata dai pescatori rassegnati al loro destino di lotta.
E fra i due, lontana, impassibile, la Montagna Sacra, il Fuji: davvero non si capisce se, per chi ne sta al cospetto, sia rassicurante come una vecchia amica o indifferente come una divinità che, chiusa nella sua perfezione, non partecipa affatto alle vicende umane.
In alto a sinistra in un cartiglio rettangolare c’è scritto “Trentasei vedute del Monte Fuji/al largo di Kanagawa/sotto un’onda“, a fianco la firma dell’autore nella formula “Dal pennello di Hokusai, che cambiò il nome in Li Tsu“. Spesso gli artisti giapponesi del tempo usavano cambiare il proprio nome nel firmare i loro lavori, ma Hokusai superò ogni limite firmando con ben trenta pseudonimi diversi: pare che lo facesse quando cambiava stile o tecnica o, come nel caso delle trentasei vedute del monte Fuji, per differenziare una fase di lavoro dall’altra.
Infine una curiosità: Claude Debussy nel 1905 volle “LA GRANDE ONDA DI KANAGAWA” sulla copertina della partitura originale del suo La Mer perché proprio l’opera di Hokusai gli aveva ispirato le note di quella splendida sinfonia.
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