Ebru Timtik, una storia di resistenza
-Morire nel 2020 in difesa dei diritti umani- di Clelia Pistillo-
Ebru Timtik chiedeva un processo equo in quella stessa Turchia che mal vede le donne, figuriamoci le donne avvocate in difesa dei diritti umani.
Lo scorso 27 agosto 2020, quando il suo cuore ha smesso di battere, aveva solo 42 anni la giovane avvocata e attivista di origine curda, ed è morta nel silenzio più assordante e nell’indifferenza dopo 238 giorni di sciopero della fame.
Ebru era stata condannata nel 2019 a scontare 13 anni e mezzo di carcere insieme ad un nutrito gruppo di suoi colleghi perché accusata di presunti legami con il Fronte Rivoluzionario per la Liberazione del Popolo, il Dhkp-C, considerato gruppo terroristico dal governo turco, dall ‘ Unione Europea e dagli Stati Uniti d’ America.
Le accuse a suo carico sarebbero collegate alle proteste di Gezy Park, una serie di manifestazioni pacifiche per opporsi alla costruzione di un centro commerciale e avvenute nell’ estate del 2013. La “colpa” di Ebru è stata quella di aver difeso la famiglia di Berkin Elvan, un giovane manifestante deceduto in seguito alle ferite alla testa causate da un lacrimogeno sparato da un poliziotto, denunciando gli abusi da parte della polizia che avrebbe utilizzato metodi al limite della legalità. Elvan fu accusato di terrorismo così come in seguito anche i suoi familiari, rei di aver sporto denuncia. In Turchia funziona così, una sorta di deterrente, per evitare che si denunci.
In seguito ai fatti di Gezi Park sono state intraprese una serie di riforme alla legge antiterrorismo con un’espansione dei poteri di polizia volti a reprimere qualunque forma di dissenso. Dopo il tentato golpe del 2016 in Turchia furono introdotte molte misure restrittive giustificate dallo stato d’emergenza tra cui figurano anche limitazioni al diritto di difesa. Da allora vi è una sovrapposizione della figura del difensore a quella del suo assistito e gli avvocati vengono accusati degli stessi reati dei loro clienti, colpevoli per associazione. I capi di imputazione inoltre si basano sulle dichiarazioni di testimoni segreti, il che renderebbe impossibile un regolare contraddittorio. Numerosi sono gli arresti arbitrari, le intimidazioni verso gli avvocati e le ritorsioni nei confronti di chi cerca di esercitare correttamente la professione forense. In Turchia non esiste un’ avvocatura libera ed una magistratura indipendente.
È in atto una più o meno lenta trasformazione del sistema giudiziario in un arma, uno strumento di repressione, con cui tappare la bocca di avvocati, attivisti, giornalisti e di chiunque osi opporsi alle posizioni dell’attuale governo, una vera e propria criminalizzazione del dissenso. Una persecuzione in piena regola, si fa per dire, che sembra essere stata legittimata con lo stato di emergenza ma che in realtà è da sempre praticata.
Tantissime le persone che in Turchia perdono la vita protestando attraverso lo sciopero della fame, ricordiamo il caso di Ibrahim Gogcec, Helin Bolek e Mustafsa Kocac, tre membri di una band musicale molto seguita, Grup Yorum , colpevoli di non essere allineati alle idee politiche di Erdogan. Negli anni i membri della band erano stati più volte arrestati, i loro album sequestrati, fino ad arrivare al divieto di tenere concerti.
Ebru Timtik ha chiesto, fino all’ ultimo, un giusto processo, per lei e per gli altri suoi colleghi ai quali era stato negato, perché In Turchia le irregolarità procedurali sono la prassi, i principi dello stato di diritto sono violati e l’indipendenza del sistema giudiziario così come la sua imparzialità risultano compromessi.
Dopo la morte di questa giovane attivista numerose sono state le manifestazioni per omaggiarne ricordo ma il sit in organizzato in Turchia si è concluso con i lanci di lacrimogeni da parte della polizia in assetto antisommossa.
Roba da far rivoltare nella tomba il buon Cesare Beccaria, eppure questo è ciò che accade nel 2021. Un ritorno al Medioevo in piena regola con una vera e propria caccia alle streghe se si considera che ad essere colpite da questo governo misogino sono principalmente le donne.
Come possiamo chiudere gli occhi davanti alle violazioni dei diritti umani, alle ingiustizie perpetrate nei confronti delle minoranze etniche, alla censura rispetto alle atrocità che si consumano quotidianamente nei confronti del popolo Kurdo, ai femminicidi che sono all’ ordine del giorno e in costante aumento?
Recentemente Erdogan ha anche annunciato il ritiro dalla convenzione di Istambul contro la violenza sulle donne.
Questo è il clima che si vive in Turchia dove il rispetto della vita non esiste. È in atto una regressione antidemocratica e la tendenza è quella a governare il paese con metodi sempre più dittatoriali. Non è più sufficiente indignarsi con le parole, essendo necessarie azioni concrete anche da parte delle Istituzioni europee che, invece, scelgono di trattare con la Turchia e foraggiare Erdogan per esternalizzare le frontiere.
Quest’ ultimo il 7 aprile scorso ha ricevuto ad Ankara Charles Michel ed Ursula Von Der Leyen e ci siamo indignati senz’ altro per lo sgarbo della sedia, per un protocollo eccessivamente maschilista. La Von Der LKeyen, lo ricordiamo non aveva una poltrona su cui sedersi e si è accomodata sul divano. Indignazione giusta ma nel posto sbagliato. Già perché a suscitare ribrezzo sarebbe bastata la volontà della stessa di sedere accanto ad Erdogan e di trattare con lui in nome di un Europa a cui noi tutti apparteniamo.
La storia di Ebru non deve e non può essere dimenticata, così come quelle di tutti questi martiri, anzi devono essere raccontate e rimanere impresse, a testimoniare quanto i diritti non siano mai scontati e quanto sia fondamentale difendere anche quelli che riteniamo già acquisiti.
Queste sono storie di vera resistenza, di battaglie combattute con l’unica arma che spesso rimane, il corpo, la vita stessa. Abbiamo il dovere di far sentire le nostre voci in nome di chi ha accettato che il proprio cuore smettesse di battere per affermare due nobili principi negati: giustizia e libertà.
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