Quinto incontro con gli autori de “La primavera fuori. 31 scritti al tempo del Coronavirus”
Clotilde Baccari commenta i 31 scritti de “La primavera fuori”-
![](https://www.salernonews24.com/wp-content/uploads/2021/03/la-primavera-verticale-1-191x300.jpg)
![](https://www.salernonews24.com/wp-content/uploads/2021/04/quinto-appuntamento-300x180.jpg)
La scrittura autobiografica nella forma diaristica è uno strumento molto utile ai fini della cura e della conoscenza di sé già dai filosofi del periodo ellenistico,epoca in cui annotarsi riflessioni su se stessi offriva poi l’opportunità nel tempo di riattivare la verità che si deve recuperare. Il testo di Giuseppe Petrarca risulta un efficace strumento di ritessitura dell’io nel rapporto con una realtà molto difficile quale quella che stiamo vivendo e particolarmente importante risulta il ricorso a questo espediente letterario, data la frantumazione delle esperienze e la repentinità del loro succedersi. Il racconto offre al lettore una opportunità di costruzione identitaria attraverso l’attenzione dell’autore a temi molto dibattuti nella vita quotidiana individuale,sociale e planetaria: la preghiera come costante nella coscienza umana;il sentirsi in gabbia dell’uomo intimorito dal contagio; la morte spettacolarizzata; la sete di dignità in un mare di odio, intolleranza, discriminazione; la voglia di sopravvivenza e la ricerca di normalità; l’esistenza di due Italie, quella di chi soffre e quella cialtrona dei politici che perseguono i propri interessi; l’immagine del Papa che, al rintocco di campane e al suono di sirene,sotto la pioggia battente, benedice l’umanità; il ricordo della morte di Cristo sul Golgata; l’isteria collettiva e la necessità di un giusto e urgente impegno del governo. L’autore, allora, si chiede se avremo memoria, quando tutto sarà finito, di quello che è stato. Se potremo mai uscire dalla nostra casa, sicuro rifugio e spogliarci di viltà per uno slancio di umanità? La risposta potremo forse darla quando tra anni rileggeremo queste pagine di diario.
Una lezione di resilienza e di equilibrio da parte di Antonino Papa che dopo un momento di grande desolazione e l’impressione di vivere in un sogno o di trovarsi ad affrontare una guerra totale senza armi ma con il coprifuoco, ha iniziato la sua nuova vita al tempo del coronavirus. Con filosofia ha guardato l’altra faccia della medaglia facendo dono a se stesso del tempo a sua disposizione, dedicandosi alle persone e alle cose amate, alle sue passioni, bypassando il Fattore T, come ha scelto di definire il tempo. Ci troviamo a leggere pagine di rasserenante equilibrio un privilegio che la natura non ha dato a molti umani poiché è un magico potere quello di “trasformare le pietre in diamanti”.
La pandemia che stiamo vivendo non è un “cigno nero”, non è un evento inatteso ed imprevedibile, né indipendente da noi. L’emergenza ha inibito quelle relazioni “faccia a faccia” senza limiti di distanza, di sicurezza che sono ingredienti fondamentali per l’economia, la produzione e l’investimento di buone relazioni. Proprio di queste relazioni ha bisogno Ciro, il protagonista del racconto di Sergio Del Vecchio che deve incontrare Gilberto che è la chiave di un affare lavorativo necessario ad aprirgli la distribuzione per tutto il sud di un brand di successo. Da accordi presi, un appuntamento sarebbe stato fissato per via telefonica. Ciro, non ricevendo alcun accenno di incontro chiama Gilberto e pur di mettere a punto l’accordo decide di raggiungerlo a Milano, ignorando le preoccupazioni dell’amico per il dilagare della pandemia in Lombardia. Il contratto viene firmato ma dopo non molto il protagonista comincia ad avvertire i primi sintomi del Covid e le sue condizioni peggiorano fino al ricovero e poi all’intubazione per difficoltà respiratorie. L’economia del racconto offre al lettore opportunità di riflessione e di ripensamento rispetto a comportamenti superficiali e negazionisti; fornisce la temporalità e l’evoluzione della malattia attraverso la compiuta descrizione della sintomatologia tracciata dallo stesso contagiato; documenta il susseguirsi delle reazioni emotive attraverso le ansie, le paure e le angosce narrate con puntuale precisione e con trasporto emotivo. La finalità del racconto è il voler persuadere i lettori ad optare per “relazioni povere” cioè quelle virtuali non “faccia a faccia” perché, paradossalmente la distanza può renderci più “generativi”. L’importante è che il lockdown del corpo non si traduca in un lockdown dell’anima.
Il protagonista del racconto di Emanuele Petrarca è il virus che tanto nefasto si sta manifestando per l’umanità. Esso, nomade giramondo per le vie del nostro pianeta, finalmente vuote e silenziose, in una natura tornata al suo splendore, è il protagonista di un monologo. Nel suo seminare morte, esso riflette sull’aiuto che sta apportando all’umanità nel suo far rinascere tra gli uomini, sopraffatti dalla paura, la necessità di sentirsi vicini e solidali, la consapevolezza del valore della vita e l’urgenza di rivedere il rapporto con la natura. Proprio il nostro nemico che nel colpire non fa distinzione di colore, razza, nè di età, ci porta questi benefici eppure non si aspetta ringraziamenti e, rassegnato, continua a fare di tutto per essere temuto dagli uomini che avranno anche il vantaggio di sentirsi buoni rispetto alla sua cattiveria. L’intuito e la creatività hanno dato la possibilità all’autore di entrare nel gioco delle parti, ribaltandone i ruoli e svelando impietosamente all’uomo i danni apportati dai limiti infiniti del suo comportamento dissennato. L’espediente letterario ha indotto il lettore ad una necessaria presa di responsabilità.
Infila i guanti di lattice, Claudia Izzo nel suo racconto, quasi per evitare ogni contatto con il virus cha sta contaminando l’umanità. Pensa all’affresco sul soffitto del chiostro nell’edificio in cui si svolge l’esame di Anatomia; è la bellezza dipinta quel soffitto .Una giovane restauratrice cerca di far rivivere ciò che il tempo ha spento per restituire lo splendore dell’arte e intanto la nostra protagonista si accinge a pulire l’argento che, persa la sua opacità, ha bisogno di ritrovare splendore e bellezza; quegli oggetti cui Claudia dedica la sua cura sono frutto di creatività, di bellezza, di impegno e di ingegno da parte dell’uomo. Quante metafore in questo breve scritto…Mentre il pensiero della protagonista va alle rovine seminate dal virus, ai tanti morti in totale solitudine senza il conforto di una carezza, ella si gira tra le mani quell’argento che nella cultura popolare è simbolo di fortuna e, in forma diversa, contiene in sé un grande potere cicratizzante e intanto nei vassoi si rispecchia la sua immagine, una immagine positiva mentre fuori è scoppiata la primavera che lascia presagire la rinascita e il ritorno alla vita, quella vita di cui è stato attento custode tutto il personale medico degno di accorata ammirazione. Medici, infermieri e portantini sono bardati come astronauti e al piccolo Leandro che ne chiede il perché, ha risposto il padre, infettivologo in prima linea nella sanità napoletana dicendo che sono venuti dalla luna per portare in dono il bene agli uomini che annegano nel dolore; sono venuti dalla luna in difesa del genere umano a far guerra al nemico invisibile per sconfiggerlo.
Sono venuti da quella luna di leopardiana memoria che forse conosce il dolore dell’uomo, la luna solitaria, eterna viaggiatrice, che è così pensierosa perchè forse comprende che cosa sia questa vita terrena, la nostra sofferenza, i nostri sospiri; che cosa sia questo estremo impallidire del volto e il morire, il venir meno ad ogni compagnia consueta e amorevole .La luna che certo capisce l’origine delle cose e vede lo scopo del mattino, della sera, del silenzioso e infinito fluire del tempo. La luna che certo sa a quale suo dolce amore sorrida la primavera, a chi giovi il caldo, e quale frutto dia l’inverno col suo ghiaccio. E in quanto a noi che siamo i cro-creatori dell’universo ai quali nulla può resistere nell’ ardire dell’azione e del pensiero, dobbiamo combattere il pericolo maggiore che possa temere l’umanità che non è una catastrofe che venga dal di fuori quale quella che stiamo vivendo, è invece quella malattia spirituale, la più terribile, perché il più direttamente umano dei flagelli che è la perdita del gusto di vivere, quel richiamo alla vita, l’entusiasmo e la gioia di vivere che Claudia conosce bene …e che per lei è quel riemergere dal vassoio di argento dell’immagine riflessa del suo volto abbagliato dalla luminosità del volto di Benedetta, la sua forza, la sua speranza, sua figlia.
![](https://www.salernonews24.it/wp-content/uploads/2024/12/Banner-adv.png)