Quinto incontro con gli autori de “La primavera fuori. 31 scritti al tempo del Coronavirus”

Clotilde Baccari commenta i 31 scritti de “La primavera fuori”-

Cinque i webinar organizzati dal direttore di  salernonews24 e  presidente dall’associazione culturale Contaminazioni, Claudia Izzo, dedicati al libro, La primavera fuori, 31 scritto al tempo del Coronavirus, (Il pendolo di Foucault) i cui  proventi della vendita saranno devoluti all’Azienda Ospedaliera San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona, di Salerno, reparto di Terapia Intensiva, con l’acquisto di un’attrezzatura specifica.
Il libro, in vendita  presso la libreria Imagine’s Book in Corso Garibaldi a Salerno, il Portico di Lisa, l’edicola libreria Scacciaventi in Corso Umberto a Cava de’ Tirreni e contattando la curatrice, ideato innanzi alle immagini del 18 marzo 2020, dei mezzi blindati a Bergamo che trasportavano le bare con le vittime di Coronavirus, è stato al centro di cinque incontri nell’ambito dei quali la professoressa Clotilde Baccari ha approfondito i contenuti dei singoli racconti.
Durante il quinto   webinar sono stati analizzati i racconti di Giuseppe Petrarca, Antonino Papa, Sergio Del Vecchio, Emanuele Petrarca, Claudia Izzo.

La scrittura autobiografica nella forma diaristica è uno strumento molto utile ai fini della cura e della conoscenza di sé già dai filosofi del periodo ellenistico,epoca in cui annotarsi riflessioni su se stessi offriva poi l’opportunità nel tempo di riattivare la verità che si deve recuperare. Il testo di Giuseppe Petrarca risulta un efficace strumento di ritessitura dell’io nel rapporto con una realtà molto difficile quale quella che stiamo vivendo e particolarmente importante risulta  il ricorso a questo espediente letterario, data la frantumazione delle esperienze e la repentinità del loro succedersi. Il racconto offre al lettore una opportunità di costruzione identitaria attraverso l’attenzione dell’autore a temi  molto dibattuti nella vita quotidiana individuale,sociale e planetaria: la preghiera come costante nella coscienza umana;il sentirsi in gabbia dell’uomo intimorito dal contagio; la morte spettacolarizzata; la sete di dignità in un mare di odio, intolleranza, discriminazione; la voglia di sopravvivenza e la ricerca di normalità; l’esistenza di due Italie, quella di chi soffre e quella cialtrona dei politici che perseguono i propri interessi; l’immagine del Papa che, al rintocco di campane e al suono di sirene,sotto la pioggia battente, benedice l’umanità; il  ricordo della morte di Cristo sul Golgata; l’isteria collettiva e la necessità di un giusto e urgente impegno del governo. L’autore, allora, si chiede se  avremo memoria, quando tutto sarà finito, di quello che è stato. Se potremo mai uscire dalla nostra casa, sicuro rifugio e spogliarci di viltà per uno slancio di umanità? La risposta potremo forse darla quando tra anni rileggeremo queste pagine di diario.

Una lezione di resilienza e di equilibrio da parte di Antonino Papa  che dopo un momento di grande desolazione e l’impressione di vivere in un sogno o di trovarsi ad affrontare una guerra totale senza armi ma con il coprifuoco, ha iniziato la sua nuova vita al tempo del coronavirus. Con  filosofia ha guardato l’altra faccia della medaglia facendo dono a se stesso del tempo a sua disposizione, dedicandosi alle persone e alle cose amate, alle sue passioni, bypassando il Fattore T, come ha scelto di definire il tempo. Ci troviamo a leggere pagine di rasserenante equilibrio  un privilegio che la natura non ha dato a molti umani poiché è un magico potere quello di “trasformare le pietre in diamanti”.

La pandemia che stiamo vivendo non è un “cigno nero”, non è un evento inatteso ed  imprevedibile, né indipendente da noi. L’emergenza ha inibito quelle relazioni “faccia a faccia” senza limiti di distanza, di sicurezza che sono ingredienti  fondamentali per l’economia, la produzione e l’investimento di buone relazioni. Proprio di queste relazioni ha bisogno Ciro, il protagonista del racconto di Sergio Del Vecchio che deve incontrare Gilberto che è la chiave di un affare lavorativo necessario ad  aprirgli la distribuzione per tutto il sud di un brand di successo. Da accordi presi, un appuntamento sarebbe stato fissato per via telefonica. Ciro, non ricevendo alcun accenno di incontro chiama Gilberto e pur di mettere a punto l’accordo decide di raggiungerlo a Milano, ignorando le preoccupazioni dell’amico per il dilagare della pandemia in Lombardia. Il contratto viene firmato ma dopo non molto il protagonista comincia ad avvertire i primi sintomi del Covid  e le sue condizioni peggiorano fino al ricovero e poi all’intubazione per difficoltà respiratorie.  L’economia del racconto offre al lettore  opportunità di riflessione  e di ripensamento rispetto a  comportamenti superficiali e negazionisti; fornisce la temporalità e l’evoluzione della malattia attraverso la compiuta descrizione della sintomatologia tracciata dallo stesso contagiato; documenta il susseguirsi delle reazioni emotive attraverso le ansie, le paure e le angosce narrate con puntuale precisione e con trasporto emotivo. La finalità del racconto è il voler persuadere i lettori  ad optare per “relazioni povere” cioè quelle virtuali non “faccia a faccia” perché, paradossalmente la distanza può renderci più “generativi”. L’importante è che il lockdown del corpo non si traduca in un lockdown dell’anima.

Il protagonista  del racconto di Emanuele Petrarca è il virus che tanto nefasto si sta manifestando per l’umanità. Esso, nomade giramondo per le vie del nostro pianeta, finalmente vuote e silenziose, in una natura tornata al suo splendore, è il protagonista di un  monologo. Nel suo  seminare  morte, esso riflette sull’aiuto che sta apportando all’umanità nel suo far rinascere tra gli uomini, sopraffatti dalla paura, la necessità di sentirsi vicini e solidali, la consapevolezza del valore della vita e l’urgenza di rivedere il rapporto con la natura. Proprio il nostro nemico  che nel colpire non fa distinzione di colore, razza, nè di  età, ci porta questi benefici eppure non si aspetta ringraziamenti  e, rassegnato, continua a fare di tutto per essere temuto dagli uomini che avranno anche il vantaggio di sentirsi buoni rispetto alla sua cattiveria. L’intuito e la creatività hanno  dato la possibilità all’autore di entrare nel gioco delle parti, ribaltandone i ruoli e svelando impietosamente all’uomo i danni apportati dai limiti infiniti del suo comportamento dissennato. L’espediente letterario ha indotto il lettore ad una necessaria presa di responsabilità.

Infila i guanti di lattice, Claudia Izzo nel suo racconto, quasi per evitare ogni contatto con il virus cha sta contaminando l’umanità. Pensa all’affresco sul soffitto del chiostro nell’edificio in cui si svolge l’esame di Anatomia; è la bellezza  dipinta quel soffitto .Una giovane restauratrice cerca di far rivivere ciò che il tempo ha spento per  restituire lo splendore dell’arte e intanto la nostra protagonista  si accinge a pulire l’argento che, persa la sua opacità,  ha bisogno di ritrovare  splendore e bellezza; quegli oggetti cui  Claudia dedica la sua cura sono frutto di creatività, di bellezza, di impegno e di ingegno da parte dell’uomo. Quante metafore in questo breve scritto…Mentre il pensiero della protagonista va alle rovine seminate dal virus, ai tanti morti in totale solitudine senza il conforto di una carezza, ella si gira tra le mani quell’argento che nella cultura popolare è simbolo di fortuna e, in forma diversa, contiene in sé un grande potere cicratizzante e intanto nei vassoi si rispecchia la sua immagine, una immagine  positiva mentre fuori è scoppiata la primavera  che  lascia presagire la rinascita  e il ritorno alla vita,  quella vita di cui è stato attento custode  tutto il personale medico degno di accorata ammirazione. Medici, infermieri e portantini sono bardati come astronauti e al piccolo  Leandro  che ne chiede il perché,  ha risposto il padre, infettivologo in prima linea nella sanità napoletana  dicendo che sono venuti dalla luna per portare in dono il bene agli uomini  che annegano nel dolore; sono venuti  dalla luna in difesa del genere umano a far guerra al nemico invisibile per sconfiggerlo.

Sono venuti da quella luna di leopardiana memoria che forse conosce il dolore dell’uomo, la luna solitaria, eterna viaggiatrice, che è così pensierosa perchè forse comprende  che cosa sia questa vita terrena, la nostra sofferenza, i nostri sospiri; che cosa sia questo estremo impallidire del volto e il morire, il venir meno ad ogni compagnia consueta e amorevole .La luna che certo capisce  l’origine delle cose e vede  lo scopo del mattino, della sera, del silenzioso e infinito fluire del tempo.  La luna che certo sa a quale suo dolce amore sorrida la primavera, a chi giovi il caldo, e quale frutto dia l’inverno col suo ghiaccio. E in quanto a noi che siamo i cro-creatori dell’universo ai quali nulla può  resistere nell’ ardire dell’azione e del pensiero, dobbiamo combattere il pericolo maggiore che possa temere l’umanità che  non è una catastrofe che venga dal di fuori quale quella che stiamo vivendo,  è invece quella malattia spirituale, la più terribile, perché il più direttamente umano dei flagelli che è la perdita del gusto di vivere, quel richiamo alla vita, l’entusiasmo e la gioia di vivere che  Claudia conosce bene …e che per lei  è quel riemergere dal vassoio di argento dell’immagine riflessa del suo volto abbagliato dalla luminosità del volto di Benedetta, la sua forza, la sua speranza, sua figlia.

 

Redazione Salernonews24

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