“Sistema Palamara”: senza remissione di peccato
-di Pierre De Filippo-
A gennaio 2021 è uscita la prima edizione del libro-intervista “Il Sistema. Potere, politica, affari: storia segreta della magistratura italiana”, nel quale intervistatore è Alessandro Sallusti, direttore de Il Giornale, e intervistato è Luca Palamara, giudice romano ormai espulso dalla magistratura dopo le accuse penalmente rilevanti che lo hanno riguardato.
Nel Paese dei misteri, dei complotti, delle stragi mai chiarite e degli accordi sottobanco, la magistratura – il Quarto Potere per eccellenza – non poteva esimersi dall’assurgere agli onori delle cronache giudiziarie; peccato l’abbia fatto in qualità di colpevole e non di vittima, di parte che, strenuamente, urla le sue difese non di inflessibile Pubblico ministero, interessato a raggiungere la verità in nome dello Stato.
Lungi dal fare un controprocesso ad un processo che è ancora ben lungi dall’essere iniziato, è del libro che, credo, sia utile parlare.
Cosa non ci ho visto, cosa non ci ho trovato: non è un libro-confessione. Si dice molto, si svela tanto, si ammette parecchio ma non è un libro-confessione in piena regola poiché, sempre sulla base di una mia visione soggettiva, manca – per usare proprio un gergo da manuale – l’animus, l’intenzione, la volontà, talvolta la necessità.
Palamara è freddo, livido, diretto nel dire come, quando e perché ha gestito la magistratura italiana – non solo lui, beninteso – orientandone nomine, cariche e relazioni istituzionali.
Manca, a mio modo di vedere, la presa di coscienza della gravità di ciò che ha commesso.
Non è nemmeno un libro-denuncia. Ribadisco: la logorrea c’è, nulla gli viene estorto, va spedito come un treno. Ma non c’è una vera e propria denuncia, un mea culpa collettivo, una componente propositiva – “si riparta da qui per migliorare le cose” –; Palamara si crogiola nel suo esaltato ricordo di un potere che ora non ha più. Ma, “non piangere perché è finito, sorridi perché è successo”, pare voglia dire.
Non è neanche un inno al “così fan tutti” di craxiana memoria, un richiamo, forte e vigoroso, alla correità da parte di molti. Si, di tanto in tanto, ribadisce che il “Sistema Palamara” non è solo il sistema di Palamara ma neppure questa pare essere la chiave giusta per interpretare questo pamphlet.
E allora, qual è?
Mi è parso un libro particolarmente politico, in un’accezione che vorrei chiarire: politico non nel senso che le valutazioni date siano state di natura politica, piene di cernite e di omissis, ma politico nel senso più ampio del termine, cioè di gestione di un certo potere.
Vi ho scorto un’unica preoccupazione e, al tempo stesso, un’unica intenzione nelle parole di Palamara: continuare a occuparsi di politica della magistratura.
Gli attacchi, continui e ripetuti, finanche ridondanti, ad una certa corrente della magistratura – Magistratura democratica, evidentemente di sinistra – a lui avversa dimostrano che Palamara non è per nulla fuori da certi schemi, da certe dinamiche, da certi interessi.
Palamara dice: “quando al governo c’è la sinistra, la magistratura rimane tranquilla; se al governo va Berlusconi, la magistratura si adopera per evitare che ci resti”.
Lo scontro frontale tra berlusconismo ed antiberlusconismo ha portato, a mio parere, alla mediocrità che viviamo oggi perché ci ha allontanato dal vero senso della politica, che è quello di prendere decisioni giuste, lungimiranti e sensate e non giocare alla lotta tra i galli.
Rispetto a questa disputa, rimango neutrale; ognuno ha le sue idee e continuerà ad averle, diamoci pace. Il punto è un altro, e faccio un esempio concreto per evitare di rimanere nel vago: poco dopo l’insediamento del II governo Prodi – siamo nel 2006 – alcune procure iniziano a condurre un’indagine contro il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, e la di lui signora, Sandra Lonardo; dice Palamara che, essendo la sinistra al potere, i membri “politici” della magistratura devono adoperarsi e si adopereranno per evitare che lo scandalo faccia cadere l’Esecutivo. Risultato: il governo Prodi cade nel gennaio 2008, un anno e mezzo dopo la sua incoronazione, e alle urne Berlusconi stravince.
Dopo le elezioni del 2008, la magistratura deve invece adoperarsi affinché, per mezzo di indagini pilotate e di giustizia ad orologeria, che il governo cada il prima possibile. Risultato: Berlusconi getta la spugna solo nel novembre del 2011, piegato dall’aumento repentino dello spread.
Che cosa voglio dire? Certamente, Palamara racconta di un malcostume diffuso, certamente lo fa con prove alla mano, con riferimenti precisi, discutendo di nomine che effettivamente andranno a buon fine, con cognizione di causa. Ma lo fa sempre non spogliandosi mai dalle vesti di manovratore, di chi pare non avere per nulla a cuore le sorti del sistema, quello vero, quello sano, della giustizia, lo fa sperando in una sua futura riabilitazione, per non lasciare il potere in mano ad altri.
Il libro è utile a capire alcune dinamiche, quanto possano essere torbidi e ramificati alcuni poteri a certi livelli ma troverà una certa stucchevole ridondanza, un sentiero che non segue né chi è pentito, né chi ritiene che “muoia Sansone con tutti i filistei”.
Aveva perfettamente ragione Ennio Flaiano quando, a proposito del nostro Paese, diceva che “in Italia la situazione è sempre grave ma non è mai seria”.
È vero.
