Al via la sperimentazione del primo vaccino italiano a Caserta. Intervista al Prof Paolo Maggi, infettivologo.
Da un anno stiamo lottando con la pandemia da Covid-19 che ha messo in ginocchio il mondo; una tristissima pagina di storia che ci siamo trovati a vivere. All’inizio una storia di terrore, non sapendo ancora bene contro cosa precisamente stessimo lottando; una pagina di dolore per tutti coloro che sono morti, all’improvviso ed in piena solitudine; poi una pagina di coraggio da parte di tutto il personale sanitario che ha messo a rischio anche la propria vita per salvare quella degli altri.
Ne parliamo con il Professore Paolo Maggi, Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Malattie Infettive dell’Ospedale Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta, docente di Malattie Infettive presso l’Università della Campania, Luigi Vanvitelli, autore di oltre trecento pubblicazioni scientifiche, studioso del metodo scientifico e della filosofia della medicina.
–Prof. Maggi, Lei è il responsabile aziendale della sperimentazione del primo vaccino italiano anti-Covid presso l’ospedale Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta prodotto dalla casa farmaceutica di cui è già iniziata la somministrazione a 900 volontari tra cui compare anche il nome dello scrittore ed ex magistrato Gianrico Carofiglio. Quali sono le caratteristiche del primo vaccino italiano? Che tempi si prevedono per finire di testarlo?
Dai primi dati che abbiamo a disposizione, derivati dalla fase 1 dello studio, sembra essere un vaccino molto efficace, ben tollerato, che non necessita di refrigerazione a -80°, e di cui dovrebbe bastare una singola dose. I primi dati di questa fase dello studio, la fase 2, dovrebbero essere disponibili entro maggio. Si tratta di un vaccino a “vettore virale”, in parole semplici, utilizziamo un Adenovirus, un virus innocuo e non in grado di moltiplicarsi nel corpo umano, per portare nel nostro corpo le informazioni necessarie a produrre la ormai famosa proteina Spike del Covid, quella che determina l’ingresso del virus nelle cellule del nostro apparato respiratorio, e permettere così al nostro sistema immunitario di imparare a difenderci dall’infezione. E’ un po’ l’antica strategia del cavallo di Troia. I vaccini che abbiamo utilizzato fino ad adesso, e che continuiamo ad utilizzare per proteggerci dall’influenza, dal morbillo, dalla rosolia o da altre infezioni virali, sono costituiti da frammenti di virus, o addirittura da virus intero, ucciso o indebolito. Certamente i vecchi vaccini presentano rischi maggiori rispetto ai vaccini che stiamo sviluppando contro il Covid-19.
Ma voglio soprattutto sottolineare che si tratta di un vaccino italiano e questo potrà aiutare a renderci autonomi dalle decisioni delle grandi multinazionali estere che, in questi ultimi mesi, ci sono apparse spesso ingiuste o incomprensibili.
–L’anno scorso il trattamento anti-Covid a Caserta era a base di Remdesivir… Com’è cambiato il protocollo nel corso di questo anno? Cosa si è scoperto in più sull’invasività del virus?
Nella prima fase della pandemia abbiamo provato ad adattare alcuni farmaci che già possedevamo per combattere altri virus, o per frenare l’eccesso di risposta immunitaria, in attesa di avere trattamenti specificatamente studiati contro il Covid. Molte di queste strategie si sono dimostrate inutili. Lo stesso Remdesivir, che tuttora in alcuni casi continuiamo ad utilizzare, si è dimostrato un po’ meno efficace di quanto speravamo. Continuiamo ad usare eparine a basso peso molecolare e cortisonici, ma solo in precise fasi della malattia, utilizzati troppo presto possono essere anche dannosi. Non abbiamo al momento disponibili sul mercato farmaci di provata efficacia. Ma qualcosa sta per arrivare, come gli anticorpi monoclonali, che potrebbero essere un’arma decisiva nella cura della malattia.
–Facciamo un passo indietro. In un clima molto acceso per quella che è stata definitala “la guerra dei vaccini”, procede la campagna anti-Covid. Per dissipare dubbi e perplessità, ci spiega la differenza tra i vari vaccini utilizzati, AstraZeneca, Pfizer Biontech, Moderna e il prossimo Johnson & Johnson?
Per semplificare: AstraZeneca, Johnson & Johnson, Sputnik e Il vaccino ReiThera sono tutti basati sulla tecnologia del vettore virale che ho spiegato prima, anche se ciascuno utilizza un vettore un po’ diverso dall’altro. Pfizer e Moderna invece sono più semplici: viene utilizzato direttamente l’RNA messaggero contenuto in una piccola bolla di lipidi, che fornisce alle nostre cellule le istruzioni per produrre la proteina Spike e avviare quel processo che porta allo sviluppo delle difese immunitarie contro l’ingresso del virus nelle nostre cellule di cui parlavamo. Sono entrambe tecnologie sicure ed efficaci. Non si vede al momento una superiorità dell’una rispetto all’altra. Ma non è finita qui: altri vaccini arriveranno basati su nuove biotecnologie innovative.
–Durante i giorni scorsi, lo stop alla somministrazione del vaccino AstraZeneca dettato dall’Agenzia Italiana del Farmaco per gli eventi tromboemolitici che si sono registrati, dopo che alcuni soggetti sono morti a breve distanza dalla vaccinazione, ha aumentato la paura e i dubbi sul vaccino AstraZeneca. Ora è stato accertato che il vaccino in questione è sicuro, tanto da continuare le vaccinazioni. Come si spiegano allora quei decessi?
Ogni giorno muoiono in Italia in questo periodo dell’anno circa 200 persone, molte delle quali per malattie vascolari. Ciò che si è visto è che i casi di eventi tromboembolici registrati non sono superiori a quelli che normalmente si attendono in una popolazione non vaccinata. Sono numeri simili, se non inferiori, a quelli registrati con gli altri due vaccini in commercio. Stiamo parlando comunque di 1-2 casi su un milione, per una malattia che uccide 3 persone su 100. Insomma, il bugiardino del virus è infinitamente più lungo di quello dei vaccini!
-I vaccini anti-Covid non possono essere somministrati al di sotto dei 18 anni perché non è stata testata questa fascia d’età. Pfizer Biontech è quello già approvato in Europa e sembrerebbe, già somministrato dai 16 anni, in Italia in alcune regioni. Come vede Lei la possibilità di riaprire la scuola senza che i ragazzi siano “coperti” dal vaccino?
La riapertura delle scuole, certo, presenta qualche rischio, anche se sono più rischiose altre situazioni secondarie a questa, come il sovraffollamento dei mezzi di trasporto, o gli assembramenti fuori dalle scuole, su cui bisogna intervenire con decisione. Tuttavia va valutato anche il danno complessivo sulla società che questa chiusura prolungata sta determinando. Insomma le scuole vanno riaperte, ma bisogna creare le condizioni di sicurezza perché questo avvenga. Sono personalmente convinto che i vaccini attuali si possano somministrare anche nei soggetti più giovani, ma ci vogliono ulteriori dati per potersi esprimere.
– Anche in Italia è rimbalzata la notizia dell’EXO-CD24, il primo farmaco contro il Covid 19, ideato dal professor Nadir Arber del centro di prevenzione tumori di Tel Aviv. Pensa, in relazione allo studio effettuato a Tel Aviv, che si possa essere ad una svolta?
Lo studio sull’EXO-CD24, ha superato la fase 1 ma non abbiamo ancora i dati delle fasi 2 e 3. Si tratta comunque di una strategia che dovrebbe curare lo stadio più grave dell’infezione, quello della polmonite. Mi auguro che, prevenendo l’infezione con i vaccini e curando i malati nelle prime 48-72 ore dallo sviluppo dei sintomi, sempre meno pazienti arrivino in ospedale con polmonite grave.
-Come vede l’evoluzione del virus, in uno scenario globale una volta che la vaccinazione avrà raggiunto tutti?
Il problema è proprio questo: è estremamente difficile che la vaccinazione possa raggiungere tutti in tempi brevi. Molte nazioni sottosviluppate sono ancora a percentuali di vaccinazioni dello “zero virgola”. In un mondo globalizzato come il nostro questo significa continuare a far circolare virus e favorire l’insorgenza di varianti resistenti ai vaccini. Se ragioniamo sull’immunità di gregge in Gran Bretagna, in Italia o in Francia saremo sempre al punto di partenza. L’immunità di gregge o è mondiale o non lo è.
–E’ ufficiale la notizia della proposta, accettata dal Comitato per il Nobel norvegese, di candidare il personale sanitario italiano al Premio Nobel per la Pace, perché “ha ricorso ai possibili rimedi di medicina di guerra combattendo in trincea per salvare vite e spesso perdendo la propria”. Cosa ne pensa?
Forse andrò contro corrente, ma in una realtà in cui il personale medico e infermieristico che sta affrontando da un anno l’emergenza è ancora drammaticamente sotto numero, in cui spesso siamo insultati e trattati da complottisti solo perché non nascondiamo la gravità della situazione, in cui sono tornate a fioccare continue denunce su di noi, persino se una persona che abbiamo vaccinato ha effetti collaterali, beh, direi che questa candidatura ha un po’ il sapore di una presa in giro.