Schliemann, l’uomo che scoprì Troia e morì a Napoli
-di Giuseppe Esposito-
Il nome di Heinrich Schliemann è universalmente noto, è l’archeologo tedesco cui si deve la scoperta delle rovine dell’antica Troia e del Tesoro di Priamo. e se, a Napoli, vi trovaste a passeggiare nella Villa Comunale, potreste scorgere non lontano dall’Acquario una lapide a lui dedicata. Tuttavia, sebbene il nome dell’archeologo sia noto a tutti, pochi, penso, siano coloro che conoscono la sua vicenda biografica.
Heinrich Schliemann nacque il 6 gennaio 1822 a Neubukow, una piccola cittadina del land di Mecleburgo-Pomerania, dal pastore protestante Ernst e da Luise Bürger, figlia del sindaco della città. Alla nascita era stato registrato all’anagrafe col nome di Julius, ma, in seguito alla morte di uno dei fratelli, i genitori decisero di attribuirgli il nome del deceduto.
Il padre gli trasmise la passione per il mondo antico con le letture dei poemi omerici e la narrazione delle gesta degli eroi sotto le mura di Troia, città ritenuta, fino ad allora frutto della fantasia di Omero.
Compì i primi studi sotto la guida del giovane filologo Carl Andress e fu poi iscritto al ginnasio di Neustreliz. Tuttavia dopo pochi mesi, causa le cattive condizioni economiche della famiglia, fu iscritto alla Realschule.
Nel 1836, sempre per motivi economici, fu costretto a lasciare gli studi e ad iniziare un apprendistato presso un piccolo commerciante di Fürstenberg. Dopo un incidente si trasferì ad Amburgo, ma incontrò molte difficoltà nel trovare lavoro. Si imbarcò allora per gli Stati Uniti, ma la sua neve naufragò nei pressi dell’isola di Texel, in Olanda e quindi il giovane si stabilì ad Amsterdam, dove si applicò allo studio delle lingue con un sistema da lui messo a punto ed imparò l’inglese, il francese e l’italiano.
Nel 1850 fu negli Stati Uniti dove però si trattenne per poco. Aveva infatti preso a prestare denaro ai cercatori d’oro, ma subì un processo per frode. Si spostò quindi in Russai a san Pietroburgo dove aprì una sua attività commerciale. Sposò Sofia, figlia di un ricco avvocato della città. Allo scoppio della guerra di Crimea fu scelto tra i fornitori di vettovaglie, armi ed attrezzature alle truppe dello zar. In tale attività riuscì ad accumulare una notevole ricchezza.
Affascinato da sempre dal mito di Troia, decise, nel 1863, di vendere la sua ditta e di trasferirsi in Anatolia, l’odierna Turchia, dove poté finanziare le sue ricerche di Troia coi milioni guadagnati nel commercio. In base alle indicazioni dedotte dai poemi omerici individuò la collina di Hissarlik dall’alto della quale si dominava tutta la pina circostante. Gli parve quindi il luogo ideale per il posizionamento dell’antica città di Troia. La sua prima campagna di scavi iniziò nel 1872 e dopo poco tempo riuscì a rinvenire vasellame, oggetti di uso domestico, armi ed anche delle mura antiche.
Ma, continuando gli scavi, Schliemann individuò, sullo stesso sito, non una, ma ben nove città costruite ciascuna sulle rovine della precedente. I risultati delle sue ricerche furono riportati nel suo libro “Antichità troiane”, pubblicato nel 1874.
Molti furono gli scienziati che criticarono il metodo da lui seguito negli scavi come privo di metodo e misero in risalto alcuni degli errori commessi nella ricostruzione storica dell’antica città. Ma in suo favore si pronunciò lo storico tedesco Edward Meyer che scrisse:
“Il procedimento antimetodico di Schliemann, di puntare direttamente allo strato più antico, è stato estremamente proficuo per la scienza. Difficilmente uno scavo sistematico avrebbe portato alla luce gli strati più antichi celati dalla collina e con essi quella civiltà che chiamiamo propriamente troiana.”
Due anni più tardi, nel 1876 Schliemann ritrovò anche quello che è chiamato il tesoro di Priamo, un insieme di circa 9000 gioielli e pietre preziose che si è ipotizzato il re nascondesse poco prima della caduta della sua città. Anche in questo caso molti hanno contestato l’attribuzione a Priamo di quel tesoro, ma nessuno è riuscito a fare una differente attribuzione. I seguito Schliemann operò anche in Grecia e giunse al ritrovamento, a Micene, della tomba degli Atridi, la stirpe di Agamennone. Si spostò poi nella zona di Tirinto, dove, sempre seguendo i racconti di Omero, che ricorda come sulla città regnasse Diomede, “dal potente urlo di guerra, riuscì a riportare alla luce i resti delle mura ciclopiche e quelli di un palazzo miceneo.
Dopo gli scavi condotti in Grecia, dal 1858 Schliemann decise di interessarsi anche di Pompei. Così dalla sua villa di Atene, dove si era trasferito insieme alla famiglia, prese ad imbarcarsi di tanto in tanto alla volta di Napoli.
Della nostra città apprezzava molte cose, come si legge in un o dei suoi diari di viaggio:
“Ma quantunque mi sia dispiacevole qui per molti aspetti, io parto da Napoli con rincrescimento e rammarico, giacché molto mi piace qui la vita e l’attività che regna nelle strade.” (Henrich Schliemann 17 dicebre 1958)
I suoi soggiorni napoletani furono una decina e sono tutti ben documentati nei suoi diari e nelle sue lettere. È la testimonianza di un trentennio di contatti e frequentazioni con l’ambiente partenopeo che, tra visite e descrizione dei luoghi si tramuta dall’iniziale curiosità quasi turistica in un vero interesse da studioso professionista che intrattiene rapporti con i vertici della scena archeologica italiana ed internazionale, nel corso degli anni che vanno dal 1858 alla fine. Il suo interesse assunse una forma assolutamente scientifica a partire dagli anni successivi al 1875.
Il 25 dicembre del 1890 su un quotidiano napoletano si legge: Sconosciuto colpito da improvviso malore sulla pubblica via.
Era accaduto che il giorno di Natale uno sconosciuto vestito in maniera dimessa si era accasciato al suolo in piazza Carità. Ripresa conoscenza non riusciva a parlare, fu pertanto accompagnato in un vicino ospedale. Non aveva indosso nulla che permettesse ai soccorritori di riconoscerlo, salvo un biglietto da visita del professor Vincenzo Cozzolino, un noto otorino di Napoli. Lo sconosciuto fu quindi accompagnato presso una stazione di polizia, la quale aveva nel frattempo rintracciato il medico. Il dottor Cozzolino, condotto al commissariato riconobbe nello sconosciuto afasico l’archeologo tedesco che si era recato presso il suo studio, il giorno precedente.
Egli era reduce da un intervento chirurgico cui si era sottoposto in Germania nel tentativo di prevenire una sordità incipiente, ma si era poi rifiutato di rimanere in ospedale per la necessaria degenza. Riaccompagnato presso il suo albergo, Schliemann, purtroppo, morì il giorno di Santo Stefano nella sua camera. La sua salma fu traslata ad Atene dove fu sepolto nel grande mausoleo che si era costruito presso il cimitero di Atene e dove riposa ancora accanto alla moglie Sophia ed alla figlia cui aveva dato il nome di Andromaca.
In memoria di Schliemann fu posta nei pressi del luogo della sua morte una lapide, che successivamente, a causa dei lavori di risistemazione della zona avvenuti durante il ventennio fascista, fu trasferita nella Villa Comunale, dove ancor oggi la si può osservare, nei pressi dell’Acquario. Su di essa si legge.
LA GERMANIA DEDICA QUESTA LAPIDE
ALLA MORIA IPERITURA DI UNO
DEI SUOI FIGLI PIU’ ILLUSTRI
HEINRICH SCHLIEMANN
IL QUALE RIPORTANDO ALLA LUCE
LE VESTIGIA DI TROIA, DI MICENE E TIRINTO
HA RIDATO AL MONDO LA CONOSCENZA
DELLA CULTURA OMERICA.
