Il fascino del Perù
-di Maria Gabriella Alfano
La costa atlantica, le Islas Ballestas con loro altissima concentrazione di uccelli, Arequipa, la città bianca
Sono stata in Perù alla fine di gennaio. E’ il periodo giusto per evitare la stagione delle piogge.Il mio viaggio è iniziato da Lima, la popolatissima capitale, pienamente “globalizzata” come buona parte delle metropoli del Pianeta.
Dopo alcuni giorni sono scesa verso sud, percorrendo la “panamericana highway”, la strada a strapiombo sulla costa del Pacifico che collega tutto il continente americano passando per ben 13 stati, fino ad arrivare in Alaska. Alla mia sinistra l’arido paesaggio desertico.
Nel tardo pomeriggio eccomi a Paracas. L’attrazione del luogo sono il Parco Nazionale marino e le Islas Ballestas, un piccolo arcipelago brullo ricoperto di guano.
La giornata è serena, fa caldo. Le Ballestas si visitano navigando su imbarcazioni a motore. A bordo una guida in lingua inglese e spagnolo fornisce le principali spiegazioni sul sito. Ma ciò che maggiormente colpisce è l’altissima concentrazione di uccelli che sono appollaiati sulle rocce o volteggiano nel cielo. Cormorani, gabbiani, pellicani, albatros, e poi otarie e leoni marini che dormono pigramente al sole e pinguini di Humboldt che saltellano qua e là. Ogni otto anni dalle rocce viene prelevato il guano, molto richiesto per la sua capacità di fertilizzante naturale.
La prossima tappa è Arequipa. Lungo la strada, salendo su un’alta impalcatura, si ammirano le misteriose “Linee di Nazca”, gli enormi geoglifi a forma di animali o vegetali, forse disegnati sul terreno desertico tra il 300 e il 500 a.c. dalla popolazione che abitava nella zona. Restano uno dei più grandi misteri archeologici del Pianeta.
Arequipa si trova a 2335 sul livello del mare. E’ una delle più belle città coloniali del Sud America. Dominata da tre maestosi vulcani, è conosciuta come “la città bianca” per il colore dei suoi edifici in pietra locale, risalenti all’epoca spagnola. Non a caso il suo centro storico è stato dichiarato dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità.
Passeggio nella bellissima Plaza de Armas, dominata dalla cattedrale dai due campanili gemelli.
Mi aggiro tra le coloratissime bancarelle dell’affollato e vivace Mercado San Camilo, tra bancarelle di frutta, spezie e amuleti della cultura andina.
Molto suggestiva è poi la visita al Monastero di Santa Catalina, risalente alla metà del cinquecento. Superate le alte mura che lo cingono, mi ritrovo in una vera e propria città nella città. Un insieme di stradine, piccole corti, una grande cucina, il refettorio, la lavanderia e perfino il cimitero. Apprendo che le celle potevano ospitare due o più monache, a volte anche le loro cameriere. La dimensione e tipologia variava a seconda della ricchezza delle occupanti. Alcune di esse sono veri e propri appartamenti con terrazze e giardini.
La visita è particolarmente rilassante. Non arriva alcun suono o rumore dall’esterno ed è tangibile il silenzio che dominava la clausura. Senza fretta mi abbandono alle sensazioni che mi trasmettono gli spazi e gli oggetti della vita quotidiana delle monache, mentre percepisco il tempo lento della loro vita.