Serve un cambio di passo per far sopravvivere la musica durante e dopo il coronavirus
La domanda è: cosa cambierà dopo il coronavirus? Molte cose, è la risposta. E già, perché di questo si tratta, di cambiamenti importanti, in molti ambiti della vita quotidiana. Questa pandemia ha fermato quasi tutto nella speranza di fermare il contagio, certo temporaneamente, ma abbastanza per farci capire che qualcosa dovrà cambiare.
Molte attività sono state considerate non essenziali, non necessarie almeno in questo periodo di quarantena, ma l’uomo non sopravvive solo grazie al cibo e alle buone condizioni di salute, è necessario anche uno stato di benessere indotto da condizioni emotiva e spirituali equilibrate. Relazioni sociali, conoscenza, lettura, musica sono tutte cose che fanno stare bene le persone e danno anche un importante contributo economico al sistema-paese.
Il coronavirus ha costretto molti artisti, molti musicisti ad interrompere le proprie attività. Non si fanno più concerti e di conseguenza non si guadagna. Questo è il punto. Da anni la musica ha iniziato un percorso di cambiamenti che la rete e il digitale hanno favorito e fomentato, ma l’industria discografica non si è dimostrata all’altezza di questi cambiamenti ed è andata avanti a tentoni con alterne vicende che spesso l’hanno vista protagonista di profonde crisi creative ed economiche.
Questi cambiamenti hanno coinvolto direttamente i musicisti, i quali hanno iniziato a fare da soli, con un numero enorme di autoproduzioni, spesso anche di qualità, che sfruttano proprio la rete come mezzo di diffusione. Ma tutto ciò non è bastato perché i dischi non si vendono più come una volta ed ora arriva, tra capo e collo, anche la mazzata dello stop ai concerti, la vera fonte di guadagno ad ampia marginalità per i musicisti.
Nasce dunque la necessità di un forte cambiamento e trovare una formula che consenta al mondo della musica la sopravvivenza in tempi di coronavirus e anche dopo.
Qualche giorno fa ho pubblicato un post sul mio profilo Facebook nel quale suggerivo un’idea, quella di monetizzare le esibizioni dal vivo in rete. In queste settimane un po’ per ingannare il tempo, un po’ per mantenere i rapporti con i propri amici e propri fan, molti artisti hanno fatto dirette con brevi esibizioni. Ecco si potrebbe trattare l’house-concert come una vera produzione discografica e chiedere agli appassionati un contributo economico per poter guardare il concerto. Qualcuno ha commentato positivamente altri, prevalentemente musicisti, hanno commentato negativamente, ma senza vena polemica, piuttosto con una buona dose di pessimismo.
Certo non sarà facile trovare la quadra, e non è immaginabile fare a meno, in futuro, dei concerti dal vivo, ma una cosa è certa: è necessario pensare ad un cambio di paradigna, un cambio di mentalità, che veda protagonisti musicisti e fan.
I primi dovranno immaginare di diversificare le modalità di distribuzione del loro prodotto artistico e i secondi dovranno abituarsi all’idea che “il gratuito” non è mai garanzia di qualità, in musica come nell’informazione.
Pagare per poter ascoltare musica live in rete dovrebbe diventare la norma, perché non è pensabile pretendere che il frutto dell’ingegno e della creatività di alcuni venga distribuito gratuitamente per il piacere di tanti senza che i pochi ne ricavino un utile. Fare musica è il lavoro dei musicisti professionisti, famosi o sconosciuti che siano, e questi devono poter vivere con il loro lavoro.
Pensateci quando scaricate musica illegalmente.
Nicola Olivieri