Un antico Pulpito (forse) Salernitano al Victoria and Albert Museum di Londra

Non  lontano dall’antica strada detta Ruga Speciariorum per la presenza di numerose botteghe artigiane, descritta poi nel XVIII secolo come Strada del Campo, l’attuale Via Giovanni Da Procida, sorge il Complesso di San Pietro a Corte nell’area più meridionale del cosiddetto Plaium Montis. Il sito è costituito da una serie di stratificazioni storiche leggibili dagli innumerevoli e articolati elementi architettonici che vanno dalle antiche terme romane (I – II secolo d.C.), presenti nella parte più bassa della struttura, a una completa trasformazione delle stesse in ecclesia paleocristiana che ebbe sviluppo tra il V e l’VIII secolo d.c. alla realizzazione con il Principe Arechi II ( 787 d.c.), al di sopra dell’antica area termale, di una Cappella Palatina, dedicata a San Pietro e Paolo, parte di un ampio palazzo costruito a ridosso delle mura meridionali prospicienti il mare. L’alto dignitario della corte arechiana, Paolo Diacono, autore della Historia Langobardorum e l’anonimo letterato Chronicon Salernitanum (X sec. d.c.) descrivono lo splendore delle architetture volute dal principe Arechi II che ebbe anche il merito di riorganizzare le mura difensive dal castello fino al mare. La struttura fu anche sede, intorno al XIII secolo, non solo di riunioni per l’Amministrazione della città ma anche per il  conferimento delle lauree della Scuola Medica Salernitana. Nel tempo furono realizzati sia il campanile databile intorno al XII secolo, sia la chiesa dedicata a Sant’Anna realizzata nel 1725, a ridosso del complesso arechiano. Particolare importanza riveste la Santa Visita del 1554 grazie alla quale si ha un’ampia documentazione della chiesa la quale, non molti anni dopo, purtroppo, nel 1573 subì un disastroso crollo del solaio. Tre anni dopo si provvide all’appalto per il recupero totale dell’area sacra, contratto stipulato dall’abate Decio Caracciolo che volle realizzare anche la scala d’ingresso esterna, lato ovest. Dopo una lunga campagna di recupero delle strutture originarie, partita dai primi anni ’70 dello scorso secolo, soro rimasti ad oggi pochi elementi risalenti alla originaria Cappella Palatina, tra i quali si riscontrano, come ben descrive il prof. Paolo Peduto (che nel 1988 effettuò dettagliate indagini archeologiche dell’area) nella massa di calcinacci, vari frammenti di mosaici di tozzetti vitrei, marmo rosso e verde. Essi sono parte integrante di una preziosa pavimentazione costituita da un mosaico in opus sectile realizzato, appunto, da piccoli elementi geometrici romboidali, quadrati e triangolari e di altri frammenti  marmorei  di un “titulus”  composto da Paolo Diacono per esaltare Arechi II ( GE DUC CLEME-NS-) parte dell’esametro (GE DUC CLEMENS ARICHIS PIA SUSCIPE VOTA). Inoltre, dopo un’attenta rimozione delle decorazioni settecentesche, si sono evidenziati elementi significativi dell’architettura longobarda, come un loggiato, sul lato ovest, bifore e monofore, caratterizzati da eleganti capitelli compositi dove si poggiano pulvini a stampella dai quali dipartono archi in mattoni, sul lato nord. Avvolta nel mistero, invece, è la verosimile presenza, in passato, del basamentale di un pulpito ligneo (quattromcolonne con capitelli) non più visitabili nell’antica chiesa arechiana ma esposti nel Victoria and Albert Museum di Londra. Lo Storico dell’arte, Direttore Coordinatore presso il Mibac, Antonio Braca afferma che tali strutture lignee potrebbero appartenere alla chiesa di San Pietro a Corte. Lo storico sostiene, infatti, che le colonne furono acquistate nel 1886 a Napoli presso un certo Pepe. Nel 1914, il Tavenor-Perry, in un suo articolo storico, precisa, nel ritrarle, che le stesse provenivano dalla  Cappella Palatina di Salerno. Poco conosciute nell’ambito della storiografia salernitana, le ricordano soltanto il Carucci e il Kalby, mentre sono  argomento di lunghi dibattiti da parte di numerosi studiosi europei.  Alcuni di essi  sostengono, tuttavia, la non appartenenza alla Cappella Palatina di Salerno, riconoscendovi, invece, origini siciliane come asserisce il Negri Arnoldi o il Williamson. Rientranti a livello stilistico nell’arte romanica, i capitelli sono, rispetto agli ordini classici romani e greci, di fatto, di forma quasi cubica e ottenuti smussando nella zona inferiore gli spigoli con una serie ritmica di figure, sagome e piante di vario genere. In essi sono scolpite solitamente storie di uomini e santi ma  anche figure di draghi o allegoriche geometriche. Nel caso specifico dei quattro capitelli, s’identificano due profeti dell’Antico Testamento, Geremia e Zaccaria, riconoscibili grazie a un cartiglio identificativo che ognuno di loro tiene in mano. Entrambi i profeti hanno il volto rivolto verso l’alto e sembrano indicare qualcosa posta sull’ipotetico pulpito. Molto probabilmente la rappresentazione di tali figure esprime un profondo linguaggio storico-artistico, essendo personaggi che preannunciano la venuta del Salvatore, Gesù. Sul capitello che raffigura Geremia, si riassumono, in immagini semplificate, simboli tipici paleocristiani legati al Paradiso come gli uccelli in volo intenti a beccare chicchi d’uva o la presenza di due pavoni. Altra figura rappresentata in uno dei capitelli è quella di Santo Stefano raffigurato, da un lato intento a pregare, dall’altro linciato a sassate da parte di uomini ebrei, a causa del suo credo cristiano ( martirio di Santo Stefano). Su un ulteriore  capitello sono scolpite le figure di San Michele Arcangelo e di San Paolo, quest’ultimo  legato a Santo Stefano poiché custodì gli abiti dei suoi lapidatori, mente San Michele è affiancato dal drago (simbolo del paganesimo e del male) che viene sconfitto dalla chiesa cristiana. Di fondamentale importanza nello studio dell’ambone ligneo risultano essere le Sacre Visite effettuate nel 1554 e nel 1618.  In quella del 1554 , nella minuziosa descrizione degli arredi sacri viene descritto un “ono pergolo de ligno antico” e “Item una fonte de battisimo co lo pavigliove de ligno”. Quest’ultima descrizione è ulteriormente spiegata nella Visita del 1618 e, appunto, relaziona un tabernacolo ligneo sovrastante un altare. Purtroppo non è ben chiaro che fine abbiano fatto tali arredi sacri anche se è probabile che proprio il pulpito sia stato, come detto in precedenza, oggetto di compravendita nel XIX da parte uno straniero cultore di arte antica. Nelle variegate raffigurazioni di piante, fiori e simboli vari si rispecchia l’arte puramente romanica anche se si evidenziano già elementi legati a quella gotica come, ad esempio, l’aureola lanceolata di Santo Stefano (che si raffigura soltanto dal 1200 in poi) o anche gli abiti degli scagnozzi nel martirio di Santo Stefano  (anch’essi del XIII secolo). In conclusione, possiamo affermare che nei capitelli è ben evidenziato il passaggio dall’arte romanica a quella più vivace e legata meno ai simbolismi e più alle storie vere dei santi dell’arte gotica, tipica della cultura medioevale nordica.

Daniele Magliano

Architetto- giornalista che ama approfondire tematiche di architettura, urbanistica, design, ma anche di storia, evoluzione e curiosità riguardanti oggetti di uso quotidiano. Mi piace, in generale, l'arte della costruzione: riflesso del nostro vivere in quanto unisce passato, presente e futuro prossimo di una comunità.

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