Stefano Cucchi e il dolore della fotografia
Una drammatica vicenda del nostro paese induce a riflettere su come la comunicazione visiva trasmetta la percezione del dolore.
La vicenda che ha coinvolto Stefano Cucchi è uno dei recenti fatti di cronaca più esecrabili degli ultimi anni. Un semplice controllo di routine delle forze dell’ordine si trasforma nel più atroce epilogo nella vita di questo ragazzo.
Non voglio commentare gli aspetti legali e giuridici della vicenda perché non ne ho le competenze, ma ho trovato tutto così assurdo che ogni commento è ugualmente assurdo.
Se qui parlo della morte di questo ragazzo è perché tutta la vicenda mi ha riportato alla memoria un bellissimo libro di Susan Sontag: “Davanti al dolore degli altri”. Un saggio al momento fuori catalogo ma, forse, reperibile in qualche mercato dell’usato.
Susan Sontag, intellettuale di spicco della cultura americana, da grande esperta di giornalismo ed informazione, ha sempre dato grande importanza alle immagini, e quindi alla fotografia, per il valore aggiunto che esse offrono alla parola scritta. “Sulla Fotografia” è un altro suo saggio, più facilmente reperibile, in cui si affronta proprio questo tema.
“Davanti al dolore degli altri” analizza in modo preciso ed inequivocabile quanto dolore le fotografie ci abbiano trasmesso: i campi di sterminio di Auschwitz, la guerra in Bosnia, l’attacco alle torri gemelle. La fotografia, inevitabilmente, comunica “più facilmente ed efficacemente” il dolore (e qui le virgolette sono d’obbligo perché il dolore non è mai facile). Cosa in cui riesce con minore efficacia, paradossalmente, il video. L’immagine statica, ferma, bloccata, in qualche modo attira lo sguardo e, privata del fluire del movimento proprio del video, trasmette e trasferisce con più immediatezza il momento del dolore più acuto.
Leggendo i quotidiani, guardando le news in TV, assistiamo continuamente ad atrocità di ogni genere: distruzioni, bombardamenti, violenze su uomini e donne, vittime innocenti di guerre. Nella società dove l’informazione ha un ruolo sempre più centrale, il dolore degli altri è uno “amaro spettacolo” all’ordine del giorno.
Ma l’osservatore che guarda quelle immagini odia quella violenza o ne resta catturato? Si allarma o resta indifferente, vittima ormai dell’abitudine a quelle visioni?
Susan Sontag si pone (e ci pone) degli interrogativi: in che modo le immagini influenzano gli uomini e quindi la loro percezione del mondo? Come e in che misura contribuiscono alla formazione dell’immaginario collettivo? Aiutano a contrastare i conflitti o a sostenerli?
Bene nel saggio “Davanti al dolore degli altri” la scrittrice si inoltra in un percorso che dal passato porta al presente, soffermandosi ed analizzando quelle immagini che hanno assunto un valore emblematico, addirittura iconico, negli anni e ne descrive la loro potente capacità di condizionare l’osservatore.
Le foto più diffuse di Stefano Cucchi sono due: una sorridente e con l’espressione vivace di un ragazzo che ha voglia di vivere. L’altra, invece, lo mostra esanime, cadavere col viso pieno di lividi che lascia poco spazio all’immaginazione.
La sorella, durante tutte le interviste, ha sempre detto che ha scattato lei, con il suo cellulare, quella foto. Il suo avvocato le ha suggerito di fermare con quello scatto ciò che i suoi occhi hanno visto. Solo quella testimonianza avrebbe, in qualche modo, aiutato la famiglia e i legali a capire come affrontare una complessa ed articolata vicenda processuale.
Le fotografie, purtroppo, servono anche a questo. Raccontano il mondo, e, come in questo caso, testimoniano le barbarie di cui gli uomini sono capaci.
Sull’onda emotiva di quello che ho letto, con la mia visione di fotografia, ho fuso quelle due immagini emblematiche di Stefanio Cucchi ed ho realizzato un mosaico, con il quale non solo voglio solo esprimere il mio pensiero sulla vicenda, ma voglio soprattutto dimostrare che la fotografia può essere una cosa terribilmente seria e dolorosa.
Umberto Mancini