Roger Water e il loop infinito dei Pink Floyd
Roger Water – Is This the Life We Really Want? – (Columbia Records)
Quando un stella della musica rock incide un nuovo disco, lo sguardo non può essere rivolto da un’altra parte. Se il disco arriva dopo 25 anni dal precedente lavoro (Amused To Death), l’evento è di quelli epocali. E se la stella in questione si chiama Roger Water, bassista, voce e autore di uno dei più grandi gruppi rock di tutti i tempi, i Pink Floyd, allora non c’è né più per nessuno. È uscito da qualche settimana “Is This The Life We Really Want?” (Columba Records) e il mondo del rock ha avuto un sussulto. Allora è il caso di fare qualche ragionamento per capire se tale sussulto è giustificato dalla nostalgia o da ragioni più concrete e realistiche. Già con The Wall, storico doppio album dei Pink Floyd del 1979, Roger Water raccontava di stati di disagio, mentali e fisici, che evidentemente non erano solo del personaggio della famosa opera rock, e neanche solo di Syd Barret, originario componente del gruppo allontanato per problemi psichici, ma molto probabilmente erano anche i suoi disagi, conseguenze o causa (questo può saperlo solo lui) dei rapporti conflittuali con se stesso e con gli altri componenti dello storico gruppo. Nel 1979 il muro (dei Pink Floyd) crollò e le macerie si sparsero tutto intorno e anche più lontano. Negli ultimi 25 anni lo sguardo attento e preoccupato di Water ha continuato a scrutare il mondo, quello stesso mondo che ha continuato ad ammalarsi e a produrre più tristezza che allegria, più infelicità che serenità, almeno nella mente di Roger. E finalmente, dopo un quarto di secolo quest’ultimo trova il coraggio di porsi la domanda: “è questo il mondo che vogliamo?”, e lo fa incidendo il suo quinto album di studio “Is This the Life We Really Want?”. Il disco non deluderà i fan storici di Roger Water e dei Pink Floyd. Anzi saranno tutti molto felici di poter riascoltare ancora una volta quei suoni e quelle atmosfere, sempre e inconfondibilmente in bilico tra rock, sperimentalismo, psichedelia e progressive, in un disco inedito. Non è, o almeno non sembra, una mera operazione discografica con finalità economiche, come invece è chiaramente avvenuto con The Endless River, quindicesimo e inutile album dei Floyd pubblicato nel 2014. Si tratta di un disco vero, anche bello e, perché no, ricco di contenuti musicali e politici (Trump ad esempio è il principale bersaglio nell’immaginario – e non solo – di Water), ma è soprattutto un disco pieno (anche troppo) di citazioni che riportano al passato artistico di Water con e senza i Pink Floyd. Certo questa è la sua inconfondibile cifra stilistica. A questo punto c’è da chiedersi una sola cosa: si sentiva veramente il bisogno di un disco-fotocopia come “Is This the Life We Really Want?”. Oggettivamente bisognerebbe rispondere di no. Questo non è un disco fondamentale! Interessante si e per certi versi anche bello, ma alla fine dei conti si tratta solo di una conferma senza novità che farà felice più i vecchi fan che i giovani in cerca di nuove sonorità e proposte che qui non troveranno.
Pink Floyd – The Dark Side Of The Moon – Capitol Records
Di solito nella rubrica “un disco di oggi e uno di Ieri” vengono proposti due album che per genere, affinità artistica e/o stilistica sono particolarmente rappresentativi di un gruppo, di un artista o di un’epoca. Quale disco andava associato dunque all’ultimo lavoro di Roger Water? La scelta più ovvia ricadrebbe sul doppio capolavoro floydiano, The Wall, attribuito prevalentemente alla mente a alla penna di Water. E invece no! È stato scelto un altro capolavoro dei Pink Floyd, molto più rappresentativo del suono e dello stile del gruppo britannico, The Dark Side Of The Moon. Questa scelta non è né ovvia, né banale. Alcuni lavori del gruppo sono troppo sperimentali, altri troppo psichedelici, altri ancora (per alcuni, non tutti, fortunatamente) troppo ammiccanti ad un rock più easy e meno d’impatto. L’unico ad aver raggiunto un equilibrio molto vicino alla perfezione è proprio The Dark Side Of The Moon, pubblicato per la prima volta quarantaquattro anni fa (1973) come ottavo disco dei Pink Floyd. Ecco il perché di questa scelta. Ogni disco è sempre figlio della propria epoca e questo significa che non tutti superano l’esame del tempo e riascoltati dopo decenni perdono la loro freschezza e non solo quella. Il lato oscuro della Luna non appartiene a questa categoria, perché l’esame è stato ampiamente superato se ancora oggi è tra i dischi più venduti della storia. Che si tratti di vinile, CD o file digitale si può dire che in questi quattro decenni l’album ha subito una vera e propria sublimazione, passando da una forma molto materica come quella del vinile fino ad arrivare allo stato di bit, dove la materia è evaporata del tutto e non esiste più, ma i contenuti sono ancora tutti lì, vivi e vegeti, anzi, arricchiti da una nutrita serie di bonus e Delux version. Quando il disco fu inciso i Pink Floyd erano in un particolare stato di grazia, perché l’album, che da allora ha frantumato qualsiasi record, è un lavoro addirittura rivoluzionario per l’epoca, e non solo per i contenuti musicali che sono stati curati nei minimi dettagli ad un livello maniacale, ma per il sorprendente equilibrio raggiunto tra i tanti elementi che lo compongono. Canzoni di una bellezza disarmante come Us and Them o Money, per citarne solo un paio, si alternano a soluzioni sperimentali e suoni ancestrali (tutti elementi che caratterizzeranno indelebilmente lo space-rock dei Pink Floyd) senza mai accavallarsi e senza mai mettere in secondo piano le armonie, le melodie, i testi ed ogni altro contributo strumentale e vocale (e sono tanti), presenti nel disco. Alcuni passaggi di The Dark Side Of The Moon come gli assoli di Gilmuor o il crescendo vocale di The Great Gig In The Sky (cantata da Clare Torry, chiamata da Alan Parson ingegnere del suono dei Floyd e pagata 30 sterline perché era domenica e la paga era doppia) sono entrati a pieno titolo nella leggenda della musica rock. Le prime note del disco, allo stato ancora embrionale, sono state scritte già durante le tournee di un paio di anni prima. Successivamente in sole due sessioni nei celebri Abbey Road Studios di Londra è stato registrato e messo meticolosamente a punto, a conferma dello stato di grazia di cui sopra. Ma questa pietra miliare non è famosa solo per i suoi contenuti musicali. Altri due elementi hanno reso celebre il disco oltre ogni limite: la qualità delle registrazioni (negli anni settanta veniva utilizzato come punto di riferimento da tutti gli appassionati di HI-FI del mondo) e la copertina, l’iconico capolavoro di eleganza minimalista progettato e disegnato dallo studio Hipgnosis. Insomma la discografia dei Pink Floyd è ampia e articolata, ma se siete alla ricerca di una pietra miliare da inserire in collezione Dark Side of The Moon non può mancare. È stato “il disco della vita” per tante generazioni di giovani appassionati e molto probabilmente continuerà a mietere vittime in questo senso.
Nicola Olivieri