La Maschera, intervista a Roberto Colella
Quando ascolti un disco che ti piace e ti fa stare bene, la sensazione di benessere che ti investe è quasi terapeutica. Se poi il primo istinto è quello di rimettere su il CD, allora in quel disco c’è qualcosa che in altri manca. È quello che mi è successo quando ho ascoltato la prima volta il lavoro d’esordio del gruppo La Maschera, intitolato ‘O vicolo ‘e l’allerìa, pubblicato a fine 2014 per l’etichetta indipendente napoletana Full Heads.
Il gruppo nasce nel 2013 grazie dall’incontro tra Roberto Colella, frontman e voce del gruppo (ma anche chitarrista e tastierista) e Vincenzo Capasso (tromba) a cui si aggiungeranno Antonio Gomez al basso, Marco Salvatore alla batteria e Alessandro Morlando alla chitarra solista. La loro musica è un’interessantissima mescola di folk sapientemente intriso di blues, rock e jazz, in una dimensione che passa facilmente da una di tipo cantautorale ed intimista ad una più sfacciata e dinamica, utilizzando eleganti forme di fraseggio musicale frutto di una band coesa e complice. Poi ci sono i testi, forti e di denuncia sociale, scritti da Colella, che li canta in dialetto napoletano (in certi momenti direi quasi che “ li recita cantando”) con una bella voce sicura e matura. Insomma la band, in questo momento, rappresenta una delle punte di diamante del panorama artistico campano.
Qualche giorno fa La Maschera si è esibita a Fisciano e non ci siamo fatti scappare l’occasione per “smascherare” Roberto Colella che ha risposto ad alcune nostre domande.
Allora ti è piaciuto il concerto a Fisciano?
Il concerto è andato benissimo, un’affluenza molto più alta di quella che credevo, trattandosi di un martedì sera. Ogni volta devo dire che c’è uno scambio di emozioni molto forti… stavolta il tutto è stato arricchito dalla presenza di Laye Ba e di Francesco Di Bella. Quest’ultimo, a mio avviso, uno dei grandi poeti che Napoli ha saputo partorire. È stata una grande gioia poter dividere il palco con lui!
La Maschera, perché questo nome?
È qualcosa che mi affascina da sempre… non tanto per una questione identitaria, quanto per l’indefinito che si nasconde dietro una maschera. E poi, detto tra noi, è semplice, facile da ricordare… e, soprattutto, è al singolare.
Se si ascoltasse il vostro disco bendati, si pensa al lavoro di un cantautore, o almeno che il disco è in una dimensione di tipo cantautorale. Poi si scopre che siete un gruppo nutrito e musicalmente coeso, con un bel sound che nasconde molte cose. Folk sicuramente, ma anche jazz e rock. Mi sbaglio?
Assolutamente no, non ti sbagli. Diciamo che i pezzi nascono “in solitudine”, chitarra e voce o piano e voce… anche se, per il rapporto che ho con la scrittura e con la musica, non amo definirmi ‘cantautore’. Non amo le definizioni in generale.
È evidente che date molto peso ai vostri testi, chi li scrive? Anzi come nascono le vostre canzoni?
Li scrivo io, ma non saprei spiegare come nasce una canzone. E’ un attimo in cui quello che hai in mente si allinea perfettamente con il modo in cui vorresti esprimerti. Va colto al volo. Dopo una stesura iniziale ci passo un paio di settimane a limare tutto quello che non mi convince, sia nel testo che nella musica. Poi la canzone finisce in sala e insieme alla band si lavora alla veste, all’arrangiamento.
Del vostro disco ‘O vicolo ‘e l’allerìa mi piacciono tutti i brani, ma quello che mi emoziona è “La confessione”. Raccontaci di più di questo brano?
La confessione è sicuramente il pezzo che mi ha portato più fortuna. E’ apprezzato da più fasce d’età ed è una cosa molto rara per un testo ‘impegnato’. Nacque con l’idea di parlare di una capera (la pettegola), e di getto scrissi alcune scene che avevano un po’ troppo peso per essere affidate alla figura popolare che immaginavo. Per questo cercai qualcuno che potesse veicolare meglio il messaggio. Il prete o immagini che facciano pensare a lui (la parola prete non figura mai nella canzone) erano sicuramente più forti.
Utilizzate il dialetto per cantare le vostre canzoni, perché questa scelta?
Scrivevo canzoncine in inglese fin quando non studiai Shakespeare all’università. Lì capii che dovevo scrivere nella lingua in cui sognavo.. pensa che vengo da Villaricca e nun me pare di aver mai sognato in Inglese o in una lingua diversa dal napoletano 😛
Non pensate che possa risultare un limite alla lunga?
Non la vedo come un limite semplicemente perché è un linguaggio come un altro. In Italia va per la maggiore la musica anglofona nonostante in molti non capiscano di che stia parlando il testo. O basti pensare che la canzone più famosa al mondo è forse ‘O Sole mio.
Il vostro inizio è stata piuttosto “rapido e veloce”. Ho letto che tu stavi per partire per un Erasmus a Praga e poi avete messo su il gruppo e sono bastate un paio di serate perché qualcuno vi proponesse di girare il video di Pullecenella. Anche se entusiasmante, non fa un po’ paura una partenza in quarta?
È tutto un gioco in una realtà che è ancora un micro mondo (sorride – N.d.R.) Non può far paura giocare. Ci divertiamo e, personalmente, faccio ciò che amo.
La Maschera, i Vico Masuccio (li conosci? Sono molto bravi anche loro), forse stiamo vivendo una ritrovata fertilità artistica in Campania?
Non conosco i Vico Masuccio ma andrò a sentire qualcosa! (qui la nostra intervista – N.d.R.) Ad ogni modo, il fermento artistico è innegabile. È un’esplosione di musica e di arte di altissimo livello. Ogni sera ci sono parecchi concerti di diversi generi musicali, ognuno registra comunque un buon pubblico… è un ottimo segno!
Entriamo nel merito del gruppo. Raccontaci un po’ dei suoi componenti e come siete arrivati ad essere quelli che siete oggi?
Siamo 5 amici che si vogliono un gran bene e che aldilà di questo hanno un ottimo feeling in musica! Probabilmente non posso dirti come siamo arrivati ad essere quelli che siamo perché, almeno a me, sembra di essere quelli che eravamo, con qualche competenza in più.
A quali artisti vi siete ispirati e vi ispirate ancora oggi?
Vengo da tutt’altri ascolti. Sono cresciuto con i Led Zeppelin, i Queen, Hendrix e i Beatles. Ho scritto Pullecenella e Amarcord conoscendo forse musica anglofona. Da lì mi sono addentrato nel mondo della musica italiana e napoletana.
Quale musica ascolti quando non suonate la vostra?
Oggi sono stregato da Simon&Garfunkel e più precisamente dal genio di Paul Simon. Un uomo in grado di non invecchiare mai artisticamente, di non perdere mai la curiosità, anche nell’ultimo lavoro pubblicato alla bellezza di 76 anni
E chiudiamo questa chiacchierata con un classico: programmi futuri?
Suonare suonare suonare! Ad ottobre uscirà il nostro secondo disco! Dopodiché pensiamo ad un tour in Africa 😀
La chiacchierata si chiude qui, ma se tanto mi da tanto non possiamo che aspettare con molta curiosità il nuovo disco del gruppo previsto per ottobre. Intanto ogni occasione è buona per ascoltarli dal vivo. Grazie Roberto per il tempo che ci hai dedicato.
Nicola Olivieri