Il samba jazz di Irio de Paula
Apprendo da un post del figlio Robertinho che Irio de Paula non c’è più. Non sono particolarmente propenso a scrivere pezzi che celebrano un artista in seguito ad un evento luttuoso, Il rischio è quello di trasformare questo spazio in una (lunga) serie annunci funebri. Quando decido di farlo però, è perché l’artista in questione ha una particolare importanza per il mondo della musica e, in questo caso, anche per l’Italia.
Irio de Paula è un carioca doc (nato a Rio de Janeiro il 10 maggio 1939) e a cinque anni inizia a suonare la chitarra da autodidatta. Per lui la musica è un dono della natura e ha preferito lei allo studio (come egli stesso ammette in una intervista) e questo, evidentemente, lo aiuterà a diventare uno straordinario chitarrista, la cui tecnica e il cui “gusto” musicale lo renderanno un vero maestro dello strumento. Il suo è uno stile inconfondibile, reso tale dalla sua capacità di mescolare con eleganza elementi della cultura musicale brasiliana con il jazz, in un’alternanza di ritmi che mostrano sia il lato allegro delle bosse e dei samba, sia quello più riflessivo e nostalgico (la saudade brasiliana) dei brani meno ritmati, senza soluzione di continuità tra strumento acustico ed elettrico. Quest’ultimo per suonare soprattutto quello che viene definito samba jazz.
Negli anni ’70 de Paula viene in Italia con il tour europeo di Elza Soares e si stabilisce nel nostro paese. Sarà protagonista di molti concerti, parteciperà a numerosi festival jazz e verrà ospitato in numerose trasmissioni televisive che lo renderanno molto famoso.
Ha pubblicato una grande quantità di dischi (oltre cinquanta sicuramente) e si è esibito con grandi nomi della musica latino-americana e con importanti jazzisti tra i quali Baden Pawell, Eumir Deodato, Chet Baker e Gato Barbieri.
Ai più giovani suggerisco tre dischi di Irio de Paula: Sarava Jobin del 2000 (Pacific Time), Four for Jazz del 2005 (Philoogy) e Blues for New Orleans del 2007 (Philology).
Nicola Olivieri
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