Il Racconto della Domenica: Agorafobia
di Sabrina Prisco-
Peter esce pochissimo dal suo buco.
Si affaccia, diffidente, fa qualche passetto, non se ne allontana mai troppo. Nelle giornate tranquille, tira il suo filo dal buco alla finestra e se ne sta lì a dondolare in un raggio di sole. Se c’è un minimo rumore però scappa via e passano ore prima di rivederlo.
Peter è un ragno.
L’ho chiamato Peter per via di Peter Parker. E’ l’essere vivente con cui ho maggior empatia. A parte Romeo, ovviamente. Ma Romeo è un gatto e i gatti, si sa, danno poca confidenza agli umani. Peter invece è diverso. Quando è fuori dal buco non scappa via se a fare il rumore sono io. Resta nei dintorni, mi segue col suo sguardo da ragno. Invece se, ad esempio, Tonia del piano di sopra sbatte un infisso o se nel vicolo passa Gerry col suo motorino delle consegne, ecco che sparisce come un fulmine.
Peter ed io siamo simili, lui ha il suo buco ed io il mio e anch’io non esco quasi mai.
Il mio buco è una stanza divisa in due da una parete. Da un lato c’è la cucina, il tavolo e le due porte che danno una nel bagno e l’altra nel vicolo. Dall’altro c’è il letto, un piccolo armadio, una lampada. Lungo le pareti, per terra, ci sono le colonne di libri e di quaderni.
Sopra il lavabo della cucina c’è una finestra. Tonia ha un balcone proprio sopra con molte piante che scendono giù davanti alla finestra e così, per fortuna, non vedo troppo fuori e il fuori non vede troppo me.
Questo è il mio buco ed è perfetto.
Sulla porta che dà nel vicolo c’è un piccolo sportellino in basso, è una gattaiola. Da lì Romeo entra ed esce almeno venti volte in un giorno. Ha sempre un sacco di cose da fare e non ha nessuna paura.
A volte torna bagnato e allora so che ha iniziato a piovere prima ancora di sentire lo scorrere delle grondaie.
Altre volte sento l’odore del sigaro sul suo pelo e allora so che è entrato nel basso di mast’Antonio, il falegname che sta nel vicolo qui accanto, quello che scende verso il porto. Lo riconosco perché quando c’è il libeccio, mi porta su l’odore del sigaro insieme con quello del mare.
A volte Romeo puzza di fritto. Allora faccio finta di sgridarlo perché so che ha mangiato dal secchio dell’umido della friggitoria che sta dall’altra parte della piazza. Quando Romeo puzza di fritto gli passo una salvietta umida e profumata sul pelo perché altrimenti la notte, quando lui dorme nel suo angolo di letto, mi viene da vomitare e mi vengono i sassolini nel petto.
E’ un problema quando mi vengono i sassolini, rotolano da tutte le parti, tra le costole e fino in gola e non c’è verso di farli smettere se non prendendo una delle medicine che Sara, la mia dottoressa, mi porta una volta a settimana. Non mi piace prenderla perché dopo i sassolini smettono, si, ma poi dormo talmente tanto che quando mi sveglio non riesco più a capire che ora è. Io li chiamo sassolini ma Sara lo chiama panico. E’ una parola che non mi piace e così l’ho cambiata.
Al mattino passa Gerry col suo motorino. Sento il rumore appena entra nella piazza e vedo Peter che schizza via nel suo buco. Anche Romeo lo sente ma lui invece schizza fuori dalla gattaiola e gli va incontro miagolando e Gerry gli parla sempre. Mi lascia il sacchetto con la spesa sulla panchetta di pietra davanti alla porta e poi anche lui schizza via, fuori dal vicolo. Gerry un po’ mi sta simpatico perché è sempre di buon umore, almeno così sembra dalle cose che dice a Romeo. Fischietta, va veloce nei vicoli, sgommando, e ogni tanto sento le signore che gli urlano dietro perché le fa spaventare. Ma poi ridono e penso che stia simpatico anche a loro perché lui fa sempre un po’ in più di quel che deve. Dovrebbe lasciare la spesa sulle porte e invece spesso le consegna su fino agli ultimi piani di questi vecchi palazzi senza ascensore e quindi le signore gli sono grate.
A me invece prima lasciava la spesa sullo zerbino della porta, poi ha cominciato a metterla sulla panchetta di pietra che dalla mia porta va fino alla fine del vicolo. E ogni volta la lascia sempre un po’ più lontana. Forse vuol fare meno strada.
Ogni volta che devo uscire a prendere la spesa, apro la porta ma prima controllo dieci volte di avere le chiavi in tasca, metto il chiavistello in fuori e sposto lo zerbino in mezzo alla soglia. Se dovessi rimanere fuori non basterebbero tutte le pillole di Sara per far fermare i sassolini.
Esco intorno alle 3 del pomeriggio quando sento la porta di Biagio, lo spazzino che abita sopra. Lui esce da casa alle 5.30 del mattino e rientra poco prima delle tre. Dopo di ché nel vicolo non si sente quasi mai nessuno per almeno un paio d’ore, ed è quello il momento giusto per me.
Oggi sono uscito più tardi, erano quasi le quattro perché c’erano delle persone nella piazza. E’ possibile che fossero turisti. In primavera cominciano a venire più persone anche qui nei vicoli, la sera le sento passeggiare fino a tardi. A volte sento moltissima gente, a volte sento della musica, a volte sento degli applausi. Tutto questo movimento non mi piace, per fortuna il mio vicolo è davvero nascosto e difficilmente la gente si avventura fin qui. Ma quando devo uscire per la spesa faccio mille prove prima di essere sicuro di non incontrare nessuno. Come oggi. Anche il fatto che ci sia luce così a lungo non mi fa tanto piacere. Il buio nel pomeriggio è come se chiudesse per bene il mio buco. La luce invece lo tiene aperto fino a tardi. Anche adesso che ho già cenato, vedo ancora del chiarore attraverso le piante di Tonia.
Mentre penso a questo mi accorgo che Romeo non è ancora rientrato. Lui torna sempre a ora di cena, dopo aver fatto avanti e indietro per tutto il giorno. Mangia dalla sua ciotola e poi, in questo periodo, si sdraia sul davanzale della finestra a rassettare il pelo, a pettinarsi e lavarsi con cura ogni angolo del corpo. In inverno, invece, si acciambella in una cesta che sta vicino il termosifone. Quando poi io vado a letto lui si sistema nell’angolo ai miei piedi e resta lì tutta la notte a ronfare finché non sentiamo Biagio che va a lavoro e quindi schizza fuori a cominciare la sua giornata.
Ho finito da un pezzo di cenare ma Romeo non c’è. Controllo la gattaiola se funziona, provo a muovere il sacchetto con i croccantini vicino la finestra aperta per richiamarlo ma niente. Guardo dalla finestra ma non si vede nulla oltre le piante e oramai il buio è sceso compatto. Peter è fuori dal buco, sento che mi guarda quasi a chiedermi che fine ha fatto Romeo. Io non so che rispondere ma automaticamente porto la mano alla tasca con dentro le chiavi di casa. Mi decido a socchiudere la porta, provo di nuovo a muovere il sacchetto dei croccantini e resto in silenzio per sentire quel versetto buffo che Romeo fa sempre quando sta per mangiare, una via di mezzo tra un miagolio e un piccolo barrito. Ma non lo sento.
Mi arriva invece una musica leggera, viene dalla piazza. Lì non ci arrivo mai. Da quando sono qui, solo una volta l’ho vista ma non la ricordo. Ricordo solo la luce accecante e la valanga di sassi che rotolavano in petto. Tre giorni ho dormito poi quella volta.
Metto in fuori il chiavistello, giro lo zerbino e tengo la mano sulla tasca. Sono fuori, chiamo Romeo a voce troppo bassa, non mi sentirà mai così. Sono quasi alla fine della panchetta e adesso la musica mi arriva chiara. E’ dolce, sembra il volo di uno sciame di api vicino il miele. Mi avvicino ancora e sono quasi all’angolo, le api sono tutte intorno e mi attirano come se fossi polline. Manca un passo alla fine del palazzo che subito dopo si apre sulla piazza, le api e il loro miele sono abbastanza forti da non farmi sentire se i sassolini stanno già rotolando e quindi lo faccio, quel passo, mi attacco al muro e ci giro intorno.
La luce blu mi prende in pieno viso, un raggio forte che si muove in tutti gli angoli della piazza, seguendo le onde della musica. Alzo lo sguardo tenendo la schiena incollata alle pietre e lo vedo lì, sospeso nel vuoto, ogni tanto il raggio di luce blu lo accarezza passandogli sopra, scivola via lasciandolo in penombra per poi tornare a illuminarlo. E’ un uomo, lì in alto, al centro della piazza. Ha le braccia piegate e in mano regge il centro di un lungo bastone, mette un piede davanti l’altro, pianissimo.
Sta volando.
Ma poi il raggio blu illumina per un attimo un lungo cavo che da un angolo della piazza, su in alto, arriva fino all’altro, attraversandola tutta. E quell’uomo sospeso, accarezzato dal blu, ci sta camminando sopra mentre la musica fatta di api riempie ogni particella di aria. Resto col naso all’insù non so per quanto, nel tempo che l’uomo impiega per compiere parecchi passi volanti.
Finalmente vedo Romeo, è appollaiato su un muretto poco distante, anche lui incantato col naso a puntare in alto, verso l’uomo blu. Penso che sia un peccato che non ci sia Peter, dovrebbe venire fuori a vederlo, a lui piacerebbe moltissimo. Poi Romeo mi vede e corre a strusciarsi tra le caviglie.
Quando l’uomo volante finisce la corda anche la musica si spegne e rimaniamo nel silenzio completo. Il fascio di luce blu fa ancora un paio di planate sulla piazza, poi si spegne anche lui.
Dei sassolini nemmeno un suono, respiro bene e mi viene da sorridere.
Guardo Romeo che barrisce, reclamando la sua cena e si avvia verso casa.
Rientro anche io, sfiorando il muro, con uno spazio nuovo al centro del petto, una gioia piccola e blu, che si è messa proprio lì, al posto dei sassolini.
