“Lampi di Genio”: “De Silva racconta De Andrè”
di Sergio Del Vecchio-
Un altro appuntamento dedicato alla musica quello che a Palazzo Fruscione ci regalano I racconti del Contemporaneo all’interno della mostra “Lampi di genio” dedicata a Philippe Halsman.
Sul palco allestito dall’Associazione Tempi Moderni, uno scrittore in veste di musicista, a Diego De Silva il compito di raccontare in musica un cantautore immenso come Faber, Fabrizio De Andrè, partendo da due album che hanno segnato la sua fase più prolifica, quella degli anni ’70, in cui escono sei album, tra cui “Non al denaro non all’amore né al cielo” del 1971 e “Storia di un impiegato” del 1973.
Al fianco di Diego De Silva, non poteva esserci migliore compagnia del pianoforte di Matteo Saggese, compositore e musicista internazionale con radici salernitane, autore di brani indimenticabili, come “Diamante”, scritta insieme a Zucchero, e di collaborazioni con artisti come Pino Daniele, Mina, Chris Porter, Phil Palmer. L’autore di tanti best seller, da “Certi bambini” all’ultimo “I titoli di coda di una vita insieme”, ai romanzi della fortunata serie dell’avvocato Malinconico, non è nuovo al linguaggio musicale: chitarrista, leader di una band giovanile, fondatore e membro del fortunato Trio Malinconico, insieme al contrabasso di Aldo Vigorito e al sax di Stefano Giuliano. Ma soprattutto Diego è un appassionato conoscitore di Fabrizio De Andrè, da cui dice essere stato folgorato e segnato negli anni della sua formazione.
Il recital incomincia sulle note della “Città vecchia”, brano del 1965, nato inizialmente come singolo, poi inserito nell’album “Tutto Fabrizio De Andrè”, che racconta la varia umanità che popolava il porto di Genova, “dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi”. E’ l’incipit giusto per introdurre il tema della poetica degli ultimi che ha contraddistinto tutta la produzione artistica del cantautore genovese. “De Andrè è patrimonio dell’umanità non cretina” – dice Diego De Silva al termine del brano.
“La canzone di Marinella”, del 1963, è ispirata ad un fatto di cronaca riportato dai giornali. Una giovanissima ragazza, costretta dalla vita a vendere il suo corpo, viene trovata morta annegata sulle sponde di un fiume. Faber ne mistifica la fine reinventandola in chiave favolistica, ridando vita alla protagonista che diventa la vittima del fato, la cui morte viene sublimata dai versi eterni che cantano dell’amore sfortunato.
“Tre madri” fa parte della raccolta del 1970 “La buona novella”, un album all’epoca molto contestato. Siamo nel pieno del periodo delle lotte studentesche, un momento storico in cui anche i testi delle canzoni risentono del dibattito politico e sociale in corso. De Andrè pubblica un disco in cui il concetto di Cristo diviene intimo e interiorizzato, secondo la visione dell’autore il predicatore di Nazaret è stato il più grande rivoluzionario di tutti i tempi e il suo messaggio era ancora più forte di quello che risuonava nelle piazze o davanti alle università dell’epoca. Soprattutto, secondo De Silva, è il brano che rappresenta più efficacemente il dolore di una madre dinanzi alla perdita del proprio figlio.
“Amore che vieni, amore che vai”, del 1966, è una melodia in perfetto stile chansonnier, molto amato da Fabrizio De Andrè. “E’ una canzone tutt’altro che nichilistica” – commenta Diego De Silva –che parla di un sentimento eterno che è al di sopra di tutto, ma che ha anche la caratteristica di essere mutevole e che quando se ne va ci lascia in bocca l’amaro del vuoto e il dolce della speranza che ritornerà ancora più forte. Da qui il passaggio di De Silva al femminicidio, “segno del decadimento dei nostri tempi” in cui “la violenza è il surrogato della parola. Se si imparasse ad accettare che l’Amore può anche andarsene, come canta De Andrè, non ci sarebbe violenza e tutti saremmo persone migliori”.
“La domenica delle salme” è forse il brano di De Andrè che più contiene il suo sentimento anarchico. E’ un brano del 1990, scritto con Mauro Pagani e contenuto nell’album “Le nuvole”, fu concepito mettendo insieme una serie di ritagli di giornali. Anche qui De Silva vede un parallelo col buio dei tempi che stiamo vivendo, tempi in cui al valore del denaro viene data la connotazione più deteriore.
“Verranno a chiederti del nostro amore” fa parte dell’album del 1973 “Storia di un impiegato”. “E’ la canzone d’amore più bella che sia mai stata scritta” – dice De Silva – “L’ho sentita la prima volta a 13 anni e mi emoziona e mi commuove come allora”. Il brano è scritto insieme a Giuseppe Bentivoglio e Nicola Piovani.
Il finale è corale con “Rimini”, brano che dà il titolo all’album del 1978, che comincia con “Teresa ha gli occhi secchi, guarda verso il mare…”
Infine, il delizioso contrappunto del piano di Matteo Saggese si ferma per fare posto all’intima e autobiografica “Giugno ‘73” in cui agli arpeggi della chitarra si intrecciano ricordi, riflessioni ed elementi simbolici che alludono alla fine di una storia d’amore. A chiusura di una serata di musica e poesia che ha visto la partecipazione di un folto pubblico di appassionati che ritrova il piacere di ascoltare ancora una volta l’indimenticato Faber.
