Il Venerdì Ri…leggiamo Poesia: “questa mia croce è la mia Pasqua”
di Graziella Di Grezia
Oggi ci soffermiamo su Giuseppe Ungaretti, voce essenziale del Novecento, poeta che ha ritorna nel nostro quotidiano con una certa familiarità, per la sua lirica essenziale e scarna, ma allo stesso tempo profonda.
Nato nel 1888 ad Alessandria d’Egitto, Ungaretti perse il padre durante l’infanzia. Questo segno originario – la mancanza, la lontananza – tornerà come eco in tutta la sua opera. Trasferitosi in Francia, respirò l’aria delle avanguardie, ma fu la Grande Guerra, vissuta in trincea, a delineare le caratteristiche della sua scrittura:
«Si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie»
(“Soldati”, 1918)
Dopo anni tra Brasile e Italia, approdò all’insegnamento a Roma. La sua poesia, apparentemente ermetica, è in realtà di una semplicità estrema ma altrettanto comunicativa:
«E subito riprende
il viaggio
come
dopo il naufragio
un superstite
lupo di mare»
(“Mattina”, 1917)
La sua “Pasqua” non è poesia di festa, ma è una confessione. Ungaretti ci presenta un uomo che invoca nel suo essere fragile (“corpo di fango“). Non a caso amava ripetere: «Il poeta è un uomo che si ricorda».
Ecco allora che questa Pasqua passa dalla religione alla semplicità e alla rivelazione di un essere umano con la sua “anima inquieta”.
E ora rileggiamo “Pasqua” di Giuseppe Ungaretti
Con questa mia anima inquieta
di amante in lutto,
non mi vergogno,
Signore,
d’invocarti.
Ma come potrò,
se non mi soccorri,
salire,
con questo mio corpo di fango,
la tua purezza?
Eppure, so,
che tu mi vuoi bene,
e che mi perdoni,
e che mi attendi.
E so che questa mia pena
è il mio dono.
E so che questa mia croce
è la mia Pasqua.
