La crudeltà della Giustizia

di Michele Bartolo-

In occasione della giornata contro la violenza sulle donne avevamo ricordato con stupore la sentenza della Corte di Assise di Modena che, all’esito della camera di consiglio, aveva condannato Salvatore Montefusco a trenta anni e non all’ergastolo per il doppio femminicidio di moglie e figlia, anche in ragione “della comprensibilità umana dei motivi che hanno spinto l’autore a commettere il fatto reato”, come testualmente asserito nella motivazione della concessione delle attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti.

“Arrivato incensurato a 70 anni, non avrebbe mai perpetrato delitti di così rilevante gravità – si legge nella sentenza – se non spinto dalle nefaste dinamiche familiari che si erano col tempo innescate”.

Sostanzialmente vuol dire che è vero che Montefusco è un assassino, ma i motivi che lo hanno spinto ad uccidere sono umanamente comprensibili. L’articolo in cui abbiamo parlato di questo increscioso episodio è stato appunto intitolato” Ti ho ucciso per umanità”, allo scopo di stigmatizzare la  giustificazione di un barbaro assassinio, tale da sminuire la portata antigiuridica di un tale delitto.

Di qualche giorno fa, invece, è l’articolo pubblicato a commento degli ultimi due efferati femminicidi commessi in danno di povere donne innocenti, Sara Campanella ed Ilaria Sula, barbaramente trucidate e strappate alla vita a soli 22 anni. In quest’ultimo caso, si è sottolineata la necessità di superare l’idea di poter contrastare il fenomeno del femminicidio solo con  una legislazione di tipo repressivo, dovendo invece intervenire in maniera energica sul tessuto sociale e culturale, nell’ambito del quale le giovani generazioni vengono educate. Il ruolo della famiglia, della scuola, dei mass media è stato indicato come determinante per promuovere una svolta nella società attuale, in cui i modelli da seguire non siano quelli di una cultura della donna oggetto, ma quelli di un rapporto paritario e sereno tra i due sessi, da coltivarsi nel reciproco rispetto, fonte di crescita e di confronto per tutti.

Ma al peggio non c’è mai fine! Proprio mentre parlavamo della legislazione contro i femminicidi e dell’elevazione di tale delitto al rango di grave reato contro la persona, tale da non consentire l’applicazione di attenuanti di alcun genere, scaturita appunto dall’allarme sociale e dalla collettiva riprovazione dell’efferato delitto compiuto da Filippo Turetta in danno di Giulia Cecchettin, la Corte di Assise di Venezia caccia dal cilindro un’altra perla di diritto.

Nelle motivazioni che hanno portato alla condanna di Turetta e all’esclusione dell’aggravante della crudeltà, nonostante l’avvenuto accertamento delle 75 coltellate con cui l’assassino ha ucciso la vittima, è dato leggere: “(..) manca tuttavia la prova che l’aver prolungato l’angoscia della vittima sia atto fine a sé stesso, frutto della deliberata volontà dell’imputato di provocarle una sofferenza aggiuntiva e gratuita (…). Ed ancora: “(..) emergono colpi ravvicinati, rapidi e «quasi alla cieca», e quindi «tale dinamica, certamente efferata», si ritiene non «sia stata dettata, in quelle particolari modalità, da una deliberata scelta dell’imputato». (..) “Turetta non aveva la competenza e l’esperienza per infliggere sulla vittima colpi più efficaci, idonei a provocare la morte della ragazza in modo più rapido e pulito, cosi ha continuato a colpire fino a quando si è reso conto che Giulia «non c’era più”. Ha dichiarato di essersi fermato quando si è reso conto che aveva colpito l’occhio: “mi ha fatto troppa impressione Orbene, considerata la dinamica complessiva… non si ritiene che la coltellata sull’occhio sia stata fatta con la volontà di arrecare scempio o sofferenza aggiuntiva (..)”. “Anche i punti delle ferite causate dalle coltellate «appaiono frutto di azione concitata, legata all’urgenza di portare a termine l’omicidio», per cui non sarebbero un elemento «significativo della sussistenza, in capo all’imputato, di volontà di voler infliggere in danno della vittima sofferenze aggiuntive e gratuite, necessaria al fine di poter ritenere integrata l’aggravante della crudeltà (..)”.

E’ vero che il diritto è interpretazione e che il Giudice conserva la discrezionalità nel valutare il merito della vicenda giudiziaria sottoposta al suo esame, con il solo limite di motivare adeguatamente il suo provvedimento nell’ambito della legislazione vigente. Ma sinceramente, a prescindere dall’entità della pena comminata, le motivazioni di questa sentenza vanno nel senso esattamente opposto di quella rivoluzione sociale e culturale auspicata all’esito degli ultimi femminicidi commessi. Anzi, continuando a voler giustificare ed umanamente comprendere comportamenti così deliberatamente abietti e crudeli, questi giudici finiranno davvero per scoraggiare il cittadino dal credere che esista la Giustizia.

Una sentenza che spiega le 75 coltellate inflitte da un punto di vista tecnico, come semplice dinamica esecutiva di un delitto, da inquadrare a seconda della perizia dell’omicida,  contribuisce ad alimentare un clima di sfiducia nello Stato di diritto e infligge alla memoria della vittima nuove e più devastanti coltellate. Settantacinque coltellate che passano nella carne di un essere umano non sono sufficienti per integrare l’aggravante di crudeltà. Turetta ha agito senza perizia, non i Giudici. Questa volta la Giustizia è stata davvero crudele, senza le attenuanti generiche.

Michele Bartolo

Avvocato civilista dall'anno 2000, con patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori dal 2013, ha svolto anche incarichi di curatore fallimentare, custode giudiziario, difensore di curatele e di società a partecipazione pubblica. Interessato al cinema, al teatro ed alla politica, è appassionato di viaggi e fotografia. Ama guardare il mondo con la lente dell'ironia perché, come diceva Chaplin, la vita è una commedia per quelli che pensano.

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