La strage delle donne
di Michele Bartolo-
Il 19 marzo 2025 il Consiglio dei Ministri ha approvato lo schema di disegno di legge recante “Introduzione del delitto di femminicidio e altri interventi normativi per il contrasto alla violenza nei confronti delle donne e per la tutela delle vittime“.
Il provvedimento prevede l’introduzione nel sistema giuridico italiano del reato di femminicidio, qualificando come tale il delitto commesso da chiunque provochi la morte di una donna per motivi di discriminazione, odio di genere o per ostacolare l’esercizio dei suoi diritti e l’espressione della sua personalità.
Tra le altre misure previste, l’introduzione nei confronti dei detenuti colpevoli di reati del Codice rosso di limitazioni all’accesso ai benefici previsti dalla legge; la presunzione di adeguatezza degli arresti domiciliari in sede di scelta delle misure cautelari; informazioni, su loro richiesta, ai parenti della vittima in caso di evasione, scarcerazione, revoca e sostituzione delle misure applicate all’imputato o al condannato. Quanto sopra in ragione dello scalpore e dall’allarme sociale suscitato dal femminicidio di Giulia Cecchettin, barbaramente trucidata dal bravo ragazzo Filippo Turetta.
Ma nonostante la introduzione nella legislazione italiana di ipotesi di trattamenti punitivi più severi per i colpevoli, il fenomeno non cessa di diffondersi, come testimoniano i recenti dolorosi casi di Ilaria Sula e Sara Campanella. In realtà, come è stato giustamente detto da qualcuno, siamo di fronte alla necessità di varare una vera e propria legislazione di emergenza, come avvenne all’epoca del terrorismo delle Brigate Rosse o dei delitti di mafia. Ora, come allora, i casi di assassinio hanno cadenza quotidiana, creano pericolosa emulazione, hanno permeato il tessuto culturale e sociale di molti giovani. Si tratta, in buona sostanza, non più di casi isolati, ma di una vera e propria strage di donne innocenti.
Gli ultimi due atroci casi, dicevamo, sono quelli di Ilaria Sula, studentessa di 22 anni originaria di Terni e di Sara Campanella, anch’essa di 22 anni, uccisa il pomeriggio del 31 marzo a Messina.
La prima è stata aggredita a coltellate dal suo ex fidanzato Mark Antony Samson, 23 anni, che ha poi chiuso il suo corpo in una valigia e l’ha gettato in un dirupo sulle campagne dei Monti Prenestini. Di Ilaria non si avevano notizie dalla sera del 25 marzo, quando ne era stata denunciata la scomparsa dal quartiere Furio Camillo di Roma. Dopo averla uccisa nell’abitazione in cui viveva con i genitori nel quartiere Africano, Samson ha confessato agli inquirenti il femminicidio. “Andate a prenderla, l’ho gettata in un dirupo, il suo corpo l’ho chiuso in una valigia”, ha detto. Attualmente il ventitreenne, che si trova a Regina Coeli, è accusato di omicidio volontario aggravato dalla relazione affettiva e l’occultamento di cadavere.
Sara Campanella, invece, era iscritta al corso di Laurea in Tecniche di laboratorio biomedico e tra pochi mesi si sarebbe laureata con una tesi in oncologia. Poche ore dopo l’omicidio è stato fermato Stefano Argentino, un 27enne compagno universitario della vittima. Stando alle prime indagini, il ragazzo da due anni assillava la vittima perché non voleva iniziare una relazione con lui. L’avrebbe aspettata al termine della lezione e l’avrebbe colpita più volte con una lama ferendola mortalmente alla gola. Nell’interrogatorio di garanzia l’indagato ha confessato ma “non ha spiegato perché l’ha uccisa”, ha riferito il suo legale Raffaele Leone.
L’omicidio è l’ultimo atto di due anni di molestie da parte di Stefano Argentino nei confronti di Sara. Non si è mai fermato ai tanti rifiuti della 22enne. Sin qui la cronaca, sullo sfondo di un ruolo non chiarito, in entrambi i casi, dei genitori degli assassini.
Ma ciò che più sorprende e deve far riflettere è la campagna di odio ed irrisione scatenata sui social contro le donne, con la solita barbara retorica di “se la sono cercata”, “certo non erano della sante”, per citare i commenti meno offensivi e carichi di disprezzo. Non so, tuttavia, se ci sia tanto da meravigliarsi in una società che esalta cantanti che hanno nei testi delle loro canzoni reiterati insulti alle donne, considerate dei veri e propri oggetti, privi di valore e personalità. Ciò che indigna maggiormente, poi, è che siano anche alcune donne a difendere tali pseudo-artisti.
La serie di recente in onda su Netflix, Adolescence, racconta, nella sua terza puntata, di un colloquio, quello tra Jamie, un tredicenne accusato di omicidio, e la sua psicologa. Attraverso le domande che la donna pone al ragazzo emergono tanto il retroterra culturale nel quale è maturata l’intenzione di uccidere, quanto l’incapacità del protagonista di fare i conti con il suo gesto e di comprenderne la gravità.
Verso la fine dell’episodio, la dottoressa Ariston domanda al suo paziente se abbia capito cosa sia davvero la morte, se comprenda che chiunque abbia ucciso Katie abbia privato la ragazza della possibilità di avere una vita futura, e abbia quindi spento la luce su un mondo che esisteva autonomamente da lui. Sono domande che apparentemente puntano a indagare se il ragazzino abbia compreso o meno le conseguenze delle proprie azioni, ma in realtà aprono uno squarcio su una questione molto più circoscritta che riguarda il modo in cui i ragazzi e gli uomini che mettono in atto comportamenti abusanti e violenti nei confronti delle donne (molestie, violenza, stupri, femminicidi) si rapportino a esse. In questo contesto, Sara Campanella ed Ilaria Sula sono le ultime vittime, in ordine di tempo, di uomini incapaci di gestire il rifiuto e le emozioni di frustrazione e impotenza a esso legate. Tutti noi ci chiediamo come sia possibile che si possa arrivare a togliere la vita a un altro essere umano con questa facilità.
La risposta, probabilmente, risiede proprio nell’incapacità di percepire le donne come persone e quindi la loro morte come la fine di una vita. Se la società ti insegna (mostrandotelo ventiquattro ore su ventiquattro) a considerare le donne prive di valori che non siano legati alla capacità di attrarre, oggetti utili solo a soddisfare il desiderio, inevitabilmente non riuscirai a riconoscere loro l’umanità che permette di costruire relazioni serie, serene e durature. Quale può essere la soluzione allora? L’inasprimento delle pene e una legislazione repressiva possono intervenire per il dopo, ma per vincere il fenomeno alla radice occorre una inversione di tendenza della nostra società, un cambio di rotta culturale che deve necessariamente coinvolgere tutte le istituzioni e i centri di diffusione educativi: la famiglia, la scuola, i mass-media. Senza una sinergia tra le varie componenti della società, nell’ottica di una condanna senza se e senza ma dei comportamenti che danno origine a questi delitti, il rischio è che la lista di queste donne, vittime innocenti della spietata crudeltà degli uomini, sia destinata ad aumentare.
