Pico pensiero sulla violenza
di Giuseppe Moesch*
Quotidianamente i media ci forniscono immagini e storie di violenza contro le persone ed il patrimonio, il tutto amplificato dalle discussioni di una selva di professionisti le cui specificità erano sconosciuti ai più.
Dagli avvocati ai criminologi e via via a genetisti, agli psichiatri , agli psicologi, ai tecnici audio e decine di altri, tutti citati con l’apposizione forense, sono presenti in tutti i talk show ed in tutte le trasmissioni, anche paludate, a spiegare il perché si siano verificati quei reati, e quali siano le pene che dovrebbero essere comminate a quei delinquenti.
Ci si confronta sul fatto che la giustizia non intervenga con durezza, che le pene siano applicate con larghezza di attenuanti, che subito dopo aver commesso il fatto moltissimi siano rimessi in libertà dopo essere stati catturati, mentre si discute sull’operato delle forze dell’ordine, costantemente sotto l’occhio delle telecamere pronte a riscontrare qualsivoglia scostamento dall’applicazione dei ferrei regolamenti pensati a tutela di Caino.
Sappiamo così che il DNA ricavato da qualche pico grammo di materiale trovato sotto le unghie della vittima di un omicidio non sono sufficienti ad attribuire la presenza di un soggetto sulla scena del crimine, mentre la controparte afferma con certezza il contrario, che un frammento sonoro possa essere attribuito o meno ad un presunto colpevole, secondo le sensazioni uditive di un perito o di un altro, poi discutiamo di tutti gli altri reati, compresi quelli perpetrati dalle bande di minorenni autoctoni o di stranieri immigrati da poco o di seconda o terza generazione, che fanno entrare in gioco altri esperti sociologi, antropologi, pedagoghi, anche in questo caso con l’apposizione forense e in aggiunta anche pediatrici, infantili, adolescenziali, o di mezza età.
Nel cicaleccio assordante di tutti questi signori tesi a giustificare e a magnificare la loro esperienza, da ricompensare la loro presenza quanto meno con a pubblicità che deriva dall’essere apparso agli occhi del mondo, se non dalla prospettiva di avere una propria finestra personale in un qualche palinsesto, osserviamo attoniti che non si riesca a comprendere che c’è un filo rosso che lega tutti questi eventi e sul quale si dovrà intervenire.
Da almeno trent’anni, sono cambiati i comportamenti educativi nelle varie sedi istituzionali, dalla famiglia, alla scuola, alla comunicazione compresi tutti i media, anche se il fenomeno affonda le radici nel sessantotto, e sostanzialmente sono due le ragioni per le quali ciò è accaduto.
In primo luogo il legittimo desiderio dei giovani di quel tempo di vedere rispettati i loro diritti si è trasformato in breve in forme anarcoidi da un lato di lassismo e dall’altro di violenza sfociata negli anni di piombo.
In secondo luogo la progressiva crescita, consapevolezza e rifiuto delle donne rispetto ai ruoli stereotipati di un passato duri a morire, è stata assai più veloce di quella degli uomini che sembrano ancor oggi non voler accettare una parità assoluta che implica la perdita di privilegi.
In effetti le ragazze e le donne di oggi decidono con piena consapevolezza se e con chi dividere il proprio tempo, scelgono come trascorrere una serata, come vivere i periodi di svago, ma principalmente rivendicano la parità di comportamenti sui luoghi di lavoro e nella vita in genere, lottando ancora contro le discriminazioni salariali o le altre forme di pregiudizi presenti nella società, ed in particolare hanno compreso che non ci sono ruoli preordinati.
L’asimmetria comportamentale tra maschi e femmine ha provocato un vuoto nella famiglia, dove alla progressiva diminuzione della funzione femminile non si è aggiunto la contemporanea crescita di quella maschile, ma ancora più grave è stata l’adesione ideologica della libertà comportamentale, del laissez faire aggiunto al desiderio di offrire ai propri figli tutti i beni che loro genitori avevano desiderato.
Mai un no, mai un consapevole comportamento capace di instillare nelle menti dei ragazzi il concetto che la vita non è costante divertimento e che i desideri non possono essere sempre appagati.
La scelta di soddisfare tutti i desideri dei figli, è una forma di deresponsabilizzazione e di alibi. Sentiamo spesso dire che hanno avuto tutto ciò che volevano, sono stati difesi a scuola dagli insegnanti malevoli, li hanno aiutati a casa con insegnanti di supporto, hanno evitato in tutti i modi che potessero essere repressi lasciando che vivessero in modo anarchico senza alcuna forma di rispetto per gli altri mentre a tutto questo si è aggiunto il mondo dorato dei social dove gli elementi cruciali sono l’apparire ed il possesso.
La conseguenza è stata la convinzione di essere superiori ed individui a cui tutto è dovuto, alimentando un narcisismo senza alcuna base concreta se non il fatto che così è stato loro insegnato.
Ma cosa accade se non riesco ad ottenere quello che voglio? È semplice me lo prendo. No solo provo anche piacere a sottrarlo a qualcuno, così da dimostrare la mia forza, il mio potere. E se non obbedisci subito, allora basta usare un poco di violenza, magari aiutandomi con un coltello che ormai pare essere con sempre maggiore frequenza nelle tasche degli adolescenti con presenze che vanno dai tredici anni in su.
Non c’è senso di colpa perché non ti hanno dato i parametri per poterlo provare, non c’è remora perché non è previsto che tu possa non avere ciò che desideri, non c’è timore per la pena, dura quanto si vuole, perché la tua vita non ha valore comunque vada a finire.
Questo vale per le bande di giovani immigrati o meno che girano per le grandi città, aggravato dalla ricerca di danaro per acquistare di che sballarsi per dare un senso ad una vita senza speranza.
Questo vale per gli adolescenti, in alcuni casi bambini, che colpiscono e spesso uccidono per il non possesso di un uomo o una donna, visti come oggetti di propria pertinenza, anche se il rapporto con l’agente è finito, o in alcuni casi non c’è mai stato.
Da Chiara a Giulia, fino a Sara e Ilaria sembra di rileggere il copione di uno stesso sceneggiato televisivo, nel quale cambiano solo i luoghi ed i nomi dei personaggi, ma non le modalità di intervento; tutte femmine giovani, mentalmente libere, aperte e portatrici di comportamenti che considerano paritari, che senza malizia si aprono ad uomini che ritengono loro pari e con i quali pensavano di potersi comportare come con degli amici senza accorgersi di essere solo oggetti di desiderio e non di amore.
Quei maschi narcisisti le hanno valutate come valuterebbero un telefonino, il cui possesso non è rinviabile come i social ci dicono: è l’ultimo modello, ebbene devo averlo.
Le ragazze di oggi hanno imparato a distinguere tra l’amicizia, il sesso e l’amore mentre gli uomini stentano a farlo, e la responsabilità è tutta nelle famiglie e nella scuola.
Per le elezioni del 2018 ho scritto nel programma politico per il mio partito una serie di proposte per i vari settori della società e al punto destinato ai giovani tra le varie cose avevo richiesto la riforma dei genitori oltre che della scuola.
Imporre ai genitori la consapevolezza del proprio ruolo di educatori è un imperativo assoluto.
Ascoltare nei cortei che quotidianamente occupano le strade delle nostre città, una sfilza di slogan inculcati da irresponsabili leader politici generano profonda tristezza.
Se quei ragazzi sono in malafede, vuol dire che dopo tanti anni abbiamo ancora cattivi maestri, se, come spero, siano in buonafede allora vuol dire che non siamo stati in grado di far loro vedere con occhi sereni come è fatto il mondo intorno a loro.
*già professore ordinario presso l’Università degli Studi di Salerno
