La “telenovela” del cognome
di Michele Bartolo-
Da circa due anni, nel nostro Paese, il doppio cognome non rappresenta più un’eccezione, ma una regola. Infatti, una sentenza della Corte costituzionale, datata 1° giugno 2022, ha dichiarato illegittimo il fatto che un bambino o una bambina appena nati prendessero in eredità il cognome paterno.
Questa situazione, prima di tale data, non solo rappresentava la regola, ma era anche automatica. Adesso, invece, i nuovi nati assumono in automatico il doppio cognome, sia materno che paterno. I genitori possono però, scegliendo a propria discrezione, decidere di assegnare al figlio uno solo dei due cognomi. Ciò posto, anche dopo la nascita è possibile inserire il doppio cognome, presentando formale richiesta alla Prefettura. La richiesta in Prefettura, che avviene a distanza dalla nascita, non solo permette di ottenere il doppio cognome, ma anche di modificare quello precedente.
I motivi per cui il doppio cognome è diventato realtà nel nostro Paese sono diversi. Innanzitutto, la motivazione principale ha a che fare con i diritti umani e le pari opportunità. Anche il cognome della madre, non solo quello del padre come avveniva un tempo, ha diritto di essere trasmesso ai figli. Tuttavia, la legge ha sempre concesso un buon grado di personalizzazione. Ricordiamo infatti che nel Codice civile, nello specifico all’art. 6, è prevista la possibilità di effettuare modifiche al cognome, oltre che eventuali aggiunte. Tuttavia, l’articolo in questione recita: “Non sono ammessi cambiamenti, aggiunte o rettifiche al nome, se non nei casi e con le formalità dalla legge indicati”. Questo vuol dire che, per effettuare aggiunte o modifiche, occorre una motivazione a norma di legge.
Ai figli nati al di fuori di un’unione legalmente riconosciuta, invece, veniva invece attribuito il cognome del genitore che aveva effettuato il riconoscimento. Se tale riconoscimento fosse avvenuto da parte di entrambi i genitori, sarebbe stato assegnato il cognome del padre in automatico.
Il tema del cognome singolo o doppio è tornato di recente alla ribalta per una nuova provocatoria proposta di Dario Franceschini, senatore del PD ed ex ministro. Lo scopo è evidentemente quello di alzare il tiro, indicare un obiettivo più radicale di quello a cui puntano i disegni di legge già in discussione in commissione al Senato, che mirano ad affiancare il cognome della madre a quello del padre.
Il dibattito è apertissimo. Secondo Franceschini: “Dopo secoli in cui i figli hanno preso il cognome del padre, stabiliamo che prenderanno il solo cognome della madre. È una cosa semplice ed anche un risarcimento per una ingiustizia secolare che ha avuto non solo un valore simbolico, ma è stata una delle fonti culturali e sociali delle disuguaglianze di genere“.
La proposta dirompente di Franceschini, destinata a far discutere, potenzialmente diretta a creare una discriminazione al contrario, non è peraltro nuova.
Infatti, già nel 1979 Maria Magnani Noya aveva avanzato la stessa proposta. La partita del doppio cognome dissimula il contrasto tra patriarcato e matriarcato ovvero tra diversi opposti orientamenti, che tendono a privilegiare il ruolo del padre o quello della madre, a seconda della personale visione del mondo. È sicuramente vero che siamo figli di una cultura e di una mentalità misogina e patriarcale: basti, infatti, ricordare un passaggio delle Eumenidi di Eschilo: “(..) Colei che viene detta madre non è la genitrice del figlio ma la nutrice dell’embrione appena seminato. È il fecondatore che genera, lei invece porta il seme a salvezza, come ospitante nei confronti di un ospite (..)”. In buona sostanza, secondo Eschilo, il figlio non è della madre, ma solo del seme e quindi del padre. Tuttavia, nella tragedia greca Oreste che, per vendicare il padre Agamennone, uccide la madre Clitennestra, viene sottoposto al giudizio dell’Areopago, il primo Tribunale terzo, il cui verdetto è in parità, in perfetto equilibrio tra società matriarcale e società della polis patriarcale, a simboleggiare che i differenti punti di vista hanno pari valore. Alla fine, però, Oreste viene assolto, ma solo grazie al voto divino di Atena, che fa pendere la bilancia in suo favore.
Volendo tornare al tema che ci occupa, possono esserci varie, valide e differenti ragioni per sostenere le ragioni della prevalenza del cognome paterno, materno o di entrambi, anche se l’idea di lasciare alla libera discrezione dei genitori la scelta penso sia la strada maestra da seguire, senza addentrarsi in questioni culturali e sociologiche opinabili.
Mi sovviene, in conclusione, un pensiero del mio vecchio professore di Procedura penale, il compianto avvocato Andrea Antonio Dalia, il quale era solito richiamare gli studenti che, all’atto di apporre la firma o comunque il proprio nominativo, anteponevano il cognome al nome. Egli, infatti, li ammoniva ricordando che l’identità di qualsiasi persona è data dal nome e non dal cognome. E’ il nome, infatti, che ci rende unici e diversi da qualsiasi altro essere umano, anche a noi vicino e familiare. Ancora oggi mi rimangono impresse le sue parole: “Io sono Andrea Antonio dei Dalia”, inteso quest’ultimo inciso come stirpe o gruppo familiare originario. Abbiamo quindi una sola certezza: il nome ci identificherà sempre, non potendo mai essere il prodotto di una scelta patriarcale o matriarcale.
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