A Palazzo Fruscione Corrado De Rosa racconta Halsman

di Sergio Del Vecchio-

A Palazzo Fruscione continuano I racconti del Contemporaneo nell’ambito della mostra-evento dedicata a Philippe Halsman dal titolo “Lampi di genio”, organizzata dall’Associazione Tempi Moderni. Stavolta è di scena un personaggio molto noto e molto amato nella sua Salerno: Corrado De Rosa, psichiatra, divulgatore e scrittore, curioso e attento, qui in veste di autore del libro “La teoria del salto” (Minimum fax”), un saggio che ha il sapore del romanzo, il rigore della ricerca storica, le tinte fosche della cronaca giudiziaria, ma soprattutto, appoggiandosi sulle solide conoscenze psichiatriche dell’autore, ci offre un potente ritratto psicologico del protagonista, per farci comprendere quanto le sue vicende personali abbiano poi influenzato la sua arte.

Philipp Halsmann (con due “enne”) è un giovane studente di ingegneria lettone ed ebreo, siamo nel 1928, l’Europa è scossa da fremiti di odio antisemita, con la famiglia si trova in vacanza sulle Alpi Tirolesi. Durante un’escursione in montagna, il padre precipita fatalmente in una scarpata e muore. Per il giovane Philipp inizia un calvario processuale che lo porterà, agnello sacrificale della propaganda nazista, a scontare il carcere con l’accusa di parricidio. Lo scandalo del caso giudiziario è tale da valicare le alte vette innevate del Tirolo e giungere con la sua eco in ogni angolo dell’Europa, arrivando a mobilitare personaggi come Albert Einstein e Thomas Mann. Scarcerato in seguito ad un condono, il nostro ripara a Parigi, dove decide prima di tutto di cambiare vita a cominciare dal nome. E dal cognome. Quel cognome, ormai diventato scomodo, che diventa Halsman, segna il passaggio alla nobile arte della fotografia, una passione che diventerà la sua ragione di vita. Allo scoppio della Grande Guerra, Philippe Halsman si rifugia in America, dove inizierà una quarta vita, quella che lo consacrerà artista internazionale, autore di ritratti indimenticabili, firma di prestigio delle copertine della rivista Life, inventore della “Jumpology”, amico di tante star hollywoodiane e tanti artisti, come Salvador Dalì.

Il nome di Halsman è legato indubbiamente al ritratto – ci spiega il dottor De Rosa – l’immagine che ci restituisce più d’ogni altra cosa il mondo esteriore ed interiore del soggetto fotografato. Il viaggio di Halsman parte dalla letteratura. Egli inizia a fotografare i suoi miti letterari. Profondamente influenzato dai numerosi libri letti negli anni di prigionia. Dietro uno sguardo, un sorriso, si nascondono mille significati. “Dietro al volto di Mandela dopo la scarcerazione degli anni ’90, c’è sostanzialmente il peso del sacrificio e della resistenza. Le rughe di Madre Teresa di Calcutta dicono un’altra cosa, forse sono il simbolo di una verità universale, che è l’amore per gli ultimi. Durante il processo O.J.Simpson, negli anni ’90, milioni di persone scrutano il suo sguardo, guardano il suo ritratto per carpire emozioni nascoste, colpa, innocenza, arroganza. Kurt Cobain, a cavallo degli anni ’80 e ’90, è il simbolo di una generazione che è piena di inquietudini, di un tempo in cui le persone si sentono alienate in una società che loro non comprendono e da cui non si sentono comprese.

Nella ricerca di Halsman, attraverso la sua poetica fotografica, c’è la ricerca della verità. “In psicologia si parla spesso di come un trauma possa portare a una spinta creativa. Le esperienze di sofferenza possono diventare una spinta a esplorare la propria interiorità, dare voce a emozioni represse”. Ecco che il trauma della morte del padre, le vicende processuali, la condanna, il carcere, giocano un ruolo cruciale nella sua idea artistica. Halsman diceva spesso “nel salto c’è la verità. Per un attimo la persona dimentica chi dovrebbe essere e diventa chi è davvero”.

Ma come è arrivato il fotografo lettone a concepire l’idea di far saltare in aria i soggetti fotografati? Si trovava su un set fotografico con diversi attori e comici americani, molto famosi per l’epoca, gente del calibro di Groucho Marx, Bob Hope, Milton Berle. Solo che durante gli scatti Halsman non riusciva a cogliere quel momento in cui i suoi soggetti lasciassero intravedere la loro vera personalità, ognuno continuava a recitare il suo personaggio e lui non riusciva a far cadere la loro maschera, non riusciva a dare alla foto quel senso della ricerca della personalità che ricercava. Tutto questo lo innervosiva. Allora disse agli attori di non mettersi più in posa, di fare quello che sentivano di fare in quel momento. I comici iniziano a rotolarsi per terra, a spingersi, a fare capriole, come dei bambini. Iniziano a saltare.

Halsman fa ritorno nel suo studio vicino a Central Park e inizia a confrontare le immagini che ha scattato coi soggetti in posa con quelle in cui ha ripreso i comici durante il loro momento di libertà e si rende conto che è proprio in quel momento che ognuno di loro è uscito dal personaggio, ha liberato la propria spontaneità, per una frazione di secondo è stato se stesso, mentre sfidava la forza di gravità non fingeva più di essere qualcun altro.

Marilyn Monroe, Grace Kelly, Audrey Hepburn, Dean Martin e Jerry Lewis, addirittura Oppenheimer, Steinbeck, Nixon e persino i duchi di Windsor, tantissimi i personaggi che Halsman, a cavallo degli anni ’50, riuscì a convincere a spiccare il salto e a librarsi in aria in un moto infantile di gioia, rivelando la propria anima e quella verità che Philippe ricercava di continuo al di là degli sguardi e dei sorrisi che inquadrava con il suo obiettivo fotografico.

Sergio Del Vecchio Sergio Del Vecchio

Sergio Del Vecchio

Dottore commercialista, giornalista pubblicista, appassionato d’arte, di musica e di fumetto. Ama leggere, disegnare e dipingere. Nel suo percorso professionale si è occupato di formazione e terzo settore. Ha costituito l’Associazione Salerno Attiva – Activa Civitas con cui ha organizzato a Salerno 10 edizioni di VinArte, un format di successo che univa il mondo del wine all’arte nelle sue declinazioni. Nel 2017 è tra i fondatori dell’Associazione culturale Contaminazioni, con cui ha curato diversi eventi e l’edizione del libro “La primavera fuori, 31 scritti al tempo del coronavirus” di cui è anche coautore. Colleziona biciclette e tra i fornelli finge di essere un grande chef.

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