L’incertezza del Diritto

di Michele Bartolo-

Quando si parla di certezza del Diritto, tutti noi immaginiamo che questo significhi che, anche se lentamente, la Giustizia poi arriva. Il processo, cioè, potrà anche essere lungo e defatigante ma poi, alla fine, arriverà una sentenza a mettere la parola fine e a stabilire le ragioni e i torti, in buona sostanza a far trionfare la verità, se non proprio quella reale, come negli auspici, almeno quella processuale.

Purtroppo, le ultime notizie che arrivano dalle recentissime cronache giudiziarie fanno pensare alla incertezza più che alla certezza del diritto. Si badi bene, nel processo civile, ad esempio, il diritto è una opera anche di interpretazione, tanto è vero che possono formarsi orientamenti dottrinali e giurisprudenziali contrastanti su una stessa questione giuridica. Tutto può essere opinabile sino al pronunciamento della Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, che darà l’orientamento definitivo da seguire, nell’intento di dirimere le visioni ed interpretazioni delle Sue singole sezioni, tra loro confliggenti.

Ciò posto, nel diritto penale la situazione è ancora più seria e delicata: perché qui non si tratta di decidere se una obbligazione condominiale è solidale o parziaria ma si incide direttamente sulla vita e sui destini delle persone, dovendosi stabilire chi ritenere responsabile di efferati delitti, chi punire con la reclusione e nel contempo in che modo rispondere alla domanda di Giustizia delle vittime dei reati.

Ebbene, è di ieri la notizia che due grandi casi di cronaca nera sono tornati alla ribalta dopo molti, troppi anni, a ricordarci come possano riemergere carenze investigative od errori processuali. Mi riferisco al famoso delitto di Garlasco, l’omicidio della giovane Chiara Poggi avvenuto il lontano 13 agosto 2007.

Da allora sono passati 18 anni e il fidanzato del tempo, Alberto Stasi, è ad oggi l’unico condannato a scontare la pena per l’atroce delitto. Ma il caso, notizia di ieri, potrebbe essere riaperto da un’indagine della procura di Pavia con i carabinieri del Nucleo investigativo di Milano.

Sulle unghie della 26enne Chiara Poggi è stato trovato materiale organico e questa nuova indagine avrebbe individuato a chi appartiene. Ci sarebbe, secondo la procura di Pavia, intorno a due dita delle mani della vittima, materiale genetico che non appartiene ad Alberto Stasi, ma sarebbe di Andrea Sempio. Questi oggi ha 37 anni.

All’epoca del delitto aveva 19 anni ed era amico del fratello di Chiara. Frequentava la casa del delitto e conosceva la vittima. Avrebbe anche avuto contatti telefonici con lei nei giorni precedenti. Come tutte le persone vicine alla famiglia e presenti a Garlasco è stato sentito al momento della prima indagine ed era già entrato nell’inchiesta in passato, ma la sua posizione è stata archiviata. Nel 2016 la difesa di Stasi aveva presentato una perizia genetica che partendo dal Dna trovato sulle unghie della ragazza aveva individuato il profilo di Sempio.

Un anno dopo era arrivata l’archiviazione, in cui si diceva che era infondata l’ipotesi del suo coinvolgimento. Adesso è indagato dalla procura di Pavia per concorso in omicidio con Alberto Stasi o persona rimasta ignota. Mercoledi 12 marzo 2025 si è presentato nella sede della scientifica dei carabinieri di Milano per essere sottoposto all’esame salivare e al tampone in modo «coattivo».

Nove anni fa non fu fatto nessun test genetico di confronto. Il materiale isolato sul corpo di Chiara Poggi fu indicato come «non utilizzabile». Anche il tentativo di riapertura del caso fatto nel 2020 dalla difesa di Stasi non ebbe esito. Il materiale su cui lavorano i magistrati, però, è lo stesso, adesso definito utilizzabile a fini giuridici. Sono ora i pm di Pavia e non la difesa di Stasi a fare il nome di Sempio. Da loro viene la richiesta di riapertura del fascicolo precedentemente archiviato. Da qui si parte per indagare per la seconda volta la stessa persona per il medesimo reato. Altra storia, altro processo, altro colpo di scena.

Dopo 24 anni di indagini, processi e svolte inaspettate, la Corte di cassazione scrive un nuovo capitolo sull’omicidio di Serena Mollicone.

Si tratta di uno dei casi di cronaca più complessi e controversi della storia giudiziaria italiana. Serena era una ragazza di 18 anni di Arce, un piccolo comune in provincia di Frosinone, nel Lazio.

È scomparsa il 1º giugno 2001 e il suo corpo è stato ritrovato due giorni dopo, il 3 giugno, in un boschetto nella località Fonte Cupa di Anitrella, con segni di violenza e la testa avvolta in un sacchetto di plastica, che ne aveva causato la morte per asfissia. Le prime indagini portarono all’arresto di Carmine Belli, un carrozziere del posto, che però fu successivamente assolto per non aver commesso il fatto.

Per anni, il caso rimase irrisolto, fino a una nuova pista investigativa emersa grazie alla testimonianza del brigadiere Santino Tuzi, il quale dichiarò di aver visto Serena entrare nella caserma dei carabinieri di Arce la mattina del 1º giugno 2001 e di non averla mai vista uscire.

Questa dichiarazione portò gli inquirenti a concentrarsi su Franco Mottola, ex comandante della caserma di Arce, suo figlio Marco Mottola e sua moglie Annamaria Mottola, oltre ad alcuni carabinieri in servizio all’epoca. Secondo l’accusa, Serena sarebbe stata uccisa proprio all’interno della caserma, dopo un litigio con Marco Mottola.

Il corpo sarebbe stato poi trasportato e abbandonato nel bosco per simulare una scomparsa. Il processo di primo grado, conclusosi nel luglio 2022, vide l’assoluzione di tutti gli imputati per insufficienza di prove. Tuttavia, la Procura di Cassino fece ricorso in appello, ma nel 2023 la Corte d’Appello confermò l’assoluzione della famiglia Mottola e degli altri imputati.

Adesso, nel marzo 2025, la Corte di cassazione ha annullato le assoluzioni, disponendo un nuovo processo d’appello. Questa decisione ha riaperto il caso, dando una nuova possibilità di giustizia per Serena Mollicone. La Procura, presentando il ricorso alla Suprema Corte, aveva infatti ritenuto che la sentenza di assoluzione presentasse gravi carenze e fosse caratterizzata da un approccio evasivo. Secondo l’accusa, non sarebbe stata adeguatamente motivata la presenza di Serena Mollicone quella mattina nella caserma di Arce e non sarebbe stata condotta una valutazione unitaria dei numerosi indizi emersi nel corso delle indagini.

Insomma anche in questo caso, dopo un quarto di secolo, l’indagine deve considerarsi riaperta e gli esiti rimangono incerti, sia per gli imputati che per le persone offese. Dall’esame di questi due casi, sembra che ad imporsi sia la incertezza del diritto e, cosa ancora più grave, la inaffidabilità e non più solo la lentezza della macchina della Giustizia.    

 

Michele Bartolo

Avvocato civilista dall'anno 2000, con patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori dal 2013, ha svolto anche incarichi di curatore fallimentare, custode giudiziario, difensore di curatele e di società a partecipazione pubblica. Interessato al cinema, al teatro ed alla politica, è appassionato di viaggi e fotografia. Ama guardare il mondo con la lente dell'ironia perché, come diceva Chaplin, la vita è una commedia per quelli che pensano.

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