Intervista a Gianrico Carofiglio, domani al Verdi
di Claudia Izzo-
Lunedì 10 Marzo a Salerno, presso il Teatro Verdi, Gianrico Carofiglio con “Il potere della gentilezza in jazz”, sarà insieme al sassofonista Piero Delle Monache, riconosciuto come una delle eccellenze nazionali del jazz, per approfondire il concetto della gentilezza e della responsabilità civile.
Di origini baresi, ex magistrato, Gianrico Carofiglio nel 2007 è nominato consulente della commissione parlamentare antimafia e dal 2008 al 2013 è stato senatore della Repubblica per il Partito Democratico. Dal 2022 è professore a contratto presso l’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, sede di Ravenna, titolare del seminario “Lingua e scrittura giuridica di base”. Come scrittore esordisce nel 2002 con “Testimone inconsapevole” (Sellerio), sei milioni di copie vendute, creando il personaggio dell’avvocato Guido Guerrieri. I suoi libri sono stati tradotti in 28 lingue.
A Salerno con lo spettacolo “Il potere della gentilezza in jazz”, come nasce questo progetto e che valore ha per Lei la gentilezza?
Questo progetto nasce in modo casuale. Cinque anni fa il libro “Della gentilezza e del coraggio”, riflessione sul potere, sulla government, sulle strategie per affrontare i conflitti in modo non violento. Mi è stato chiesto di farlo immaginando un pubblico. L’intreccio musica jazz e parole piace molto, tra paura e coraggio capiamo che non è il buio il problema, ma l’uso della paura.
Intendo la gentilezza come virtù combattiva, non come remissività; cosa diversa dalla cortesia e dal garbo. Affrontare il conflitto nella maniera meno dolorosa è un attitudine, ci vuole coraggio. La gentilezza è la capacità per uscire dalla gabbia dell’ego, amplificatore dell’intelligenza. Gentilezza insieme a coraggio significa prendersi la responsabilità delle proprie azioni e del proprio essere nel mondo, accettare la responsabilità di essere umani.”
Come nasce la Sua passione per la scrittura?
E’ una passione. Da quando ero bambino ero affascinato dalle storie poi ho sublimato la mia tendenza ad inventare storie per il gusto del racconto, inclinazione più naturale.
Qual è un Suo libro a cui è più affezionato?
Non so rispondere: il primo “Ad occhi chiusi” (Sellerio), ha in sè una storia di trasformazione di vita; Le tre del mattino (Einaudi) è quello che ha prodotto molte emozioni; Il borgo vertiginoso delle cose (Rizzoli) si sofferma su una personale e professionale del protagonista, su quanto siano vicine le posizioni di chi vince e di chi perde.
C’è sempre, nella vita di uno scrittore qualcosa che più di altre lo ha influenzato, formato. Cosa, dunque, ritiene abbia influenzato la Sua formazione?
Da ragazzo ero insicuro, timido. Le arti marziali mi hanno cambiato la vita. Sono cintura nera sesto dan di karate e ritengo che le arti marziali siano un serbatoio di metafore.
Dalla carriera giuridica alla vita da scrittore, com’è stato il passaggio?
Non c’è stato un passaggio netto da magistrato a scrittore: semplicemente le due cose non potevano più coesistere e fare lo scrittore non poteva più essere un secondo lavoro.
I suoi figli hanno ereditato questa passione per la scrittura?
Mia figlia è attratta dalla scrittura.
Un libro che Lei ha amato?
Intorno ai 15 anni “Stoner” di John Williams, poi “Le nostre anime di notte”, romanzo scritto da Kent Haruf; come classici, Kafka. I libri che associo alla mia adolescenza sono L’Idiota, romanzo di Fëdor Dostoevskij, Guerra e pace di Lev Tolstoj.
Nell’ottobre del 2024 scrisse “Elogio dell’ignoranza e dell’errore” in cui racconta la gioia dell’ignoranza consapevole e le grandi opportunità che nascono dal riconoscere i nostri errori…
Parlo della consapevolezza della propria ignoranza come premessa per imparare, per una conoscenza più gioiosa. Questa società è intessuta da un compiacimento di ignoranza consapevole da parte di chi non sa o pensa di poter pontificare su tutto. Quando abbiamo torto tendiamo a giustificare l’errore consapevole, non sempre si impara dall’errore, dalle opportunità.
