Andrea Pennacchi è Arlecchino.

Quando il classico è attuale.

di Sergio Del Vecchio-

E’ possibile riportare in scena un grande classico della commedia dell’arte come “Arlecchino servitore di due padroni”, passato per di più nel corso degli anni attraverso rivisitazioni memorabili, come quella di Strehler del 1947, e riscuotere ugualmente un giudizio convincente di pubblico e critica?

E soprattutto, ha senso riproporre oggi la più celebre commedia di Goldoni senza cadere in un vuoto esercizio di stile? La risposta, affidata alla regia di Marco Baliani e all’insolita interpretazione di Andrea Pennacchi, è certamente positiva.

Al Teatro Municipale Verdi di Salerno va in scena “Arlecchino?” con Andrea Pennacchi, l’attore drammaturgo padovano celebre sul piccolo schermo per il personaggio del “Pojana”. Il testo teatrale, sebbene sia una libera trasposizione di “Arlecchino servo di due padroni” rimane molto fedele all’originale, anche nella trama, praticamente immutata nel canovaccio, lieto fine compreso.

Pantalone de’ Bisognosi non è un mercante veneziano ma un impresario spiantato che ha assoldato una masnada di attori promettendo compensi che non è in grado di corrispondere. Sua figlia Clarice è promessa a Silvio, originariamente destinata al nobile torinese Federigo Rasponi, che tutti sanno morto in un duello per mano dell’amante della sorella Beatrice, Florindo Aretusi, scappato a Venezia per sfuggire all’arresto. Beatrice Rasponi, vestita da uomo, spacciandosi per il defunto fratello, va a Venezia in cerca dell’amante e irrompe nella locanda di Brighella in cui agisce la sgangherata, improbabile compagnia di Pantalone, portando scompiglio nella coppia Clarice e Silvio. Di questi nascenti equivoci ne approfitterà Arlecchino/Pennacchi, riuscendo nell’impresa di servire contemporaneamente due padroni, in quanto nella stessa locanda farà il suo ingresso proprio il fuggiasco Florindo Aretusi. Quando la situazione sembra ormai diventare esplosiva a causa delle bugie di Arlecchino, che nel tentativo di sottrarsi ai guai miracolosamente li moltiplica, ecco che irrompe il lieto fine con le coppie iniziali a ricomporsi ed una nuova coppia che si unisce inaspettatamente: Arlecchino e Smeraldina, la servetta di Clarice, dal primo corteggiata durante tutta la rappresentazione.

Di grande attualità, pur nel tentativo di rimanere ancorato al testo ed al dialetto veneto, la pièce di Marco Baliani convince perché è un tentativo di mantenere in vita la forza del classico goldoniano, che, come tutti i classici, rischia di morire soffocato dalle sue stesse repliche. Baliani riesce a dribblare anche Strehler, che ha reso celebre questa commedia, mantenendone in vita alcuni elementi, manipolandone sapientemente altri: apprezzabile senza dubbio la messa in scena, essenziale ed efficace la scenografia di Carlo Sala, con una serie di tende mobili a fare da quinte e da elemento scenico. Pennacchi è un Arlecchino sui generis, lontanissimo dal suo emulo, quello smilzo, dalle movenze rapide, sempre pronto alle sue pose, eppure riconoscibile nella sua goffaggine, non una maschera ma un personaggio, servo del dover trarre vantaggio da ogni circostanza, schiavo di una fame atavica, bugiardo patentato, convinto assertore della necessità di evitare ad ogni costo il lavoro e le bastonate. Attuali le tematiche sociali all’interno della commedia, come lo sfruttamento del lavoro, la condizione della donna, dei migranti, degli attori. Attuale il linguaggio, che mescola dialetti e generi, dal cabaret al burlesque, e attuale la narrazione, grazie alle musiche originali di Giorgio Gobbo interpretate dal duo Matteo e Riccardo Nicolin, rispettivamente voce e chitarra e batteria, musicisti e attori allo stesso tempo. Tutti all’altezza i compagni di scena di Arlecchino, alcuni dei quali vestono più ruoli: Beatrice, Maria Celeste Carobene; Brighella/Florindo Aretusi, Marco Artusi; Clarice, Margherita Mannino; Smeraldina, Anna Tringali; Pantalone de’ Bisognosi, Valerio Mazzuccato; Silvio/facchino/cameriere, Miguel Gobbo Diaz.

La commedia, originariamente in tre atti, qui in atto unico, scorre fluida, divertendo e mettendo in scena le eterne maschere grottesche della nostra società, coi suoi vizi alla fine smascherati e messi a nudo con uno sberleffo, che ci fa sorridere e subito dopo riflettere. E alla fine tutti vissero felici e contenti.

Sergio Del Vecchio Sergio Del Vecchio

Sergio Del Vecchio

Dottore commercialista, giornalista pubblicista, appassionato d’arte, di musica e di fumetto. Ama leggere, disegnare e dipingere. Nel suo percorso professionale si è occupato di formazione e terzo settore. Ha costituito l’Associazione Salerno Attiva – Activa Civitas con cui ha organizzato a Salerno 10 edizioni di VinArte, un format di successo che univa il mondo del wine all’arte nelle sue declinazioni. Nel 2017 è tra i fondatori dell’Associazione culturale Contaminazioni, con cui ha curato diversi eventi e l’edizione del libro “La primavera fuori, 31 scritti al tempo del coronavirus” di cui è anche coautore. Colleziona biciclette e tra i fornelli finge di essere un grande chef.

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