Echi d’Oriente alla Sala Pasolini con Soma il trio di Peppe Frana

di Sergio Del Vecchio-

Suoni mistici ed evocativi ieri sera al teatro Pier Paolo Pasolini di Salerno, nell’ambito della rassegna “il colore dei suoni”, seconda parte della fortunata Rassegna di Musica del Territorio sotto la direzione artistica di Giuseppe Zinicola. Il concerto di apertura è stato “Soma”, il primo progetto discografico del trio composto da Peppe Frana (oud, robab afghano), Masih Karimi (tanbur, daf curdo) e Ciro Montanari (tabla, percussioni indiane), con la partecipazione straordinaria di Renata Frana (dilruba indiana).

Questo assaggio di world music è un po’ un fiore nel deserto, un vento tiepido che viene da lontano portando con sé il sapore di spezie mediorientali e la sacralità di antichi rituali esoterici, una porta invisibile verso altre culture, altri mondi, in un momento storico in cui tutto intorno a noi si va appiattendo, si va spegnendo. Un plauso dunque a chi ha voluto e realizzato questi eventi, un invito a tutti noi, per dirla con Pino Daniele, ad avere rispetto e saper godere di questi fiori nel deserto.

Peppe Frana, salernitano di origine, è un cultore e uno splendido interprete della musica extraeuropea. Appassionato di musica rock, in tutte le sue derivazioni, ha coltivato sin dall’inizio lo studio della chitarra e degli strumenti a corde in genere, passando ben presto a studiare cordofoni a plettro di derivazione orientale, come l’oud turco, grazie ai suoi viaggi in Grecia e in Turchia e soprattutto grazie all’incontro con musicisti etnici di grande respiro come Yurdal Tokcan, uno dei massimi esperti di oud turco, o come Ross Daly, virtuoso della lyra cretese, grande studioso di tradizioni musicali locali, frutto di viaggi in Medio Oriente, Asia centrale e nel subcontinente indiano, o ancora il maestro del rubab afghano Daud Khan Sadozai. La grande cultura musicale di Peppe, laureato con lode in filosofia ”L’Orientale” di Napoli, lo porta ad approfondire in Svizzera, presso la Schola Cantorum Basilensis, lo studio del liuto medievale divenendo un apprezzato solista e insegnante della musica del trecento.

Ciro Montanari, musicista ravennate, nel 2003 inizia a studiare con il Maestro Matteo Scaioli i tabla, tipiche percussioni del subcontinente indiano, costituite da una coppia di tamburi dotati di un cerchio nero al centro della membrana di pelle che permette di ottenere delle variazioni cromatiche caratteristiche. Da lì all’incontro con Pandit Sankha Chatterjee, maestro indiano di tabla, scomparso recentemente, già professore alla Rabindra Bharat University di Kolkata (India), agli studi in India, dove si specializza nelle percussioni indiane, come strumento di musica popolare, religiosa ed etnica.

Masih Karimi, nato nel 1983 in Iran, è un artista multidisciplinare, pittore e musicista polistrumentista, anch’egli appassionato di musica rock e di chitarre elettriche Nel 2002 inizia a studiare la musica tradizionale ed il maqam, il sistema modale della musica araba, attraverso gli strumenti del Tanbur, liuto a manico lungo caratteristico dell’Asia Centrale e del Daf arabo, grande tamburo a cornice tipico di molta musica mediorientale. Dal 2021 si è trasferito a Torino per studiare pittura all’Accademia Albertina, dal 2022 collabora con Peppe Frana e Ciro Montanari.

Il loro primo progetto discografico “Soma” prende ispirazione dalla bevanda sacra che fortifica e rende immortali consumata dai sacerdoti indiani durante i rituali narrati dalla mitologia dei Veda, i testi sacri da cui prende il nome la più antica religione indiana. Il disco è articolato in 9 brani, di cui alcuni tradizionali, dell’Afghanistan e del Kurdistan, altri frutto dell’ispirazione di Frana e Karimi.

Nello spazio, semplice ed essenziale, occupato solo dai tre musicisti seduti a gambe incrociate su un tappeto persiano, a farla da padrone sono gli strumenti. Il Tanbur suonato da Karimi, è uno strumento antichissimo, usato nei riti del culto Yarsan, religione sincretica non islamica dell’etnia curda. Questa musica segreta diffusa soltanto fra gli iniziati, da circa 25 anni è stata divulgata ed è diventata un repertorio tradizionale da studiare. Essa è tutta incentrata sui maqam, che sono dei brani veri e propri, a metà fra una composizione e un modulo per l’improvvisazione, alcuni, opportunamente riarrangiati da Frana e Karimi, sono stati eseguiti durante la serata e sono presenti anche nel disco.

I Tabla, strumento a percussione indiano di origini antichissime risalente all’epoca dei Veda e Upanishad, la sua presenza addirittura si trova in sculture rinvenute in templi indiani risalenti al 200 a.C.. I due tamburi, uno più grande che produce sonorità più basse ed uno più piccolo sonorità più alte, vengono percossi con una particolare tecnica che sfrutta le dita e i dischi di pasta nera posti quasi al centro della pelle per produrre un’estensione timbrica molto particolare. Il Rubab, strumento nazionale afghano, conosciuto anche in altre aree mediorientali e indiane, si trova in testi risalenti al VII secolo, come i poemi Sufi e i libri persiani. Appartiene alla famiglia dei liuti, è dotato di tre corde fisse e dalle 12 alle 16 corde simpatiche (che vibrano per risonanza), solitamente è realizzato da un unico pezzo di legno di gelso e nella parte inferiore è dotato di una cassa di risonanza ricoperta di pelle di capra.

L’Oud, anch’esso appartenente alla famiglia dei liuti, si fa risalire all’antica Mesopotamia, molto diffuso in Medio Oriente e nell’area del Maghreb, è caratterizzato da un manico corto e da una grossa cassa ed ha un numero di corde variabile, di solito 11 distribuite in 5 coppie più un bordone. Dall’Iran si diffuse in Turchia, dove si sviluppò con proprie caratteristiche, tanto che esiste un oud turco con una sua accordatura, diversa da quella araba. Ha un suono più pieno e corposo, rispetto al Tanbur, e si presta a improvvisazioni (taksim) in cui si esalta la velocità e la tecnica dell’esecutore.

Il Daf, grande tamburo a cornice, appartenente alla tradizione persiana e utilizzato come strumento per accompagnare rituali religiosi o spirituali. La sua cornice di legno e la tecnica con cui viene suonato lo rendono simile alla nostra tammorra, ma il suono è molto diverso, meno percussivo, più armonico.

La Dilruba, originaria dell’india nord-occidentale, è una parente del famosissimo Sitar, il liuto dal lungo manico e dalla cassa acustica costituita da una zucca essiccata, originariamente dotato di tre corde, simbolo della musica tradizionale indiana. La Dilruba viene suonata ad archetto e fu sdoganata dai Beatles nel loro “Sgt. Pepper’s…”.

Il trio Frana, Montanari, Karimi è al primo lavoro insieme ma dimostra un grande affiatamento.

I brani “Jeloshahi” e “Khanamiri” sono basati su celebri maqam del Kurdistan iraniano in cui si mette in evidenza il tanbur di Masih Karimi, “Amaturi”, in cui interviene la Dilruba di Renata Frana, è un pezzo tradizionale afghano, in cui è più evidente la presenza dell’oud di Peppe Frana. Il brano “Vrtti” è basato invece su un raga indiano con un ciclo ritmico in 16 tempi. I raga sono le scale modali della musica tradizionale indiana, su cui Ciro e Peppe si producono in una serie di improvvisazioni partendo dallo schema melodico fondamentale.

Il risultato finale è una contaminazione tra generi apparentemente simili e musicisti amanti e cultori di questi strumenti e questa musica, ma che non appartengono alla tradizione originaria, poiché tutti e tre hanno seguito il percorso di ampliare i propri orizzonti musicali facendo propria, con grande rispetto e sapienza, una cultura in cui spesso il suono si fonde con la spiritualità e restituendo alfine una musica reinterpretata, fedele immagine dell’originale.

Sergio Del Vecchio Sergio Del Vecchio

Sergio Del Vecchio

Dottore commercialista, giornalista pubblicista, appassionato d’arte, di musica e di fumetto. Ama leggere, disegnare e dipingere. Nel suo percorso professionale si è occupato di formazione e terzo settore. Ha costituito l’Associazione Salerno Attiva – Activa Civitas con cui ha organizzato a Salerno 10 edizioni di VinArte, un format di successo che univa il mondo del wine all’arte nelle sue declinazioni. Nel 2017 è tra i fondatori dell’Associazione culturale Contaminazioni, con cui ha curato diversi eventi e l’edizione del libro “La primavera fuori, 31 scritti al tempo del coronavirus” di cui è anche coautore. Colleziona biciclette e tra i fornelli finge di essere un grande chef.

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