La violenza ideologica
di Giuseppe Moesch*
Ho sempre amato la musica, tutta la musica senza pregiudizi; da bambino sedevo a terra sotto l’ala protettiva del tavolo da pranzo e sintonizzavo la radio a valvole, con l’occhio magico e la barra scorrevole che indicava la lunghezza d’onda, e che mi consentiva di ascoltare sulle onde corte anche le emittenti straniere che erano indicate con i loro nomi esotici delle città da cui trasmettevano.
Sceglievo i programmi di musica leggera con la voce di Rabagliati, Flò Sandoz, claudio Villa e gli altri artisti famosi all’epoca.
Ho ascoltato i primi festival, e da più grandicello ho imparato ad usare il grammofono che integrava il mobile che componeva l’impianto dell’epoca, facendo grande attenzione nel montare la puntina d’acciaio che veniva conservata in una piccola scatoletta integrata sulla base dell’apparecchio, con la quale ci si poteva pungere.
C’erano alcuni dischi di musica jazz, altri delle grandi orchestre americane, altre con l’etichetta della Voce del Padrone ed il cane che ascoltava la musica, in particolare opere intere sulle due facciate del pesante disco in vinile, difficile da maneggiare per un bambino.
Della lirica non mi piaceva il fatto che non capivo bene le parole e che mi distraevano dalla musica, tanto che ancora oggi tra i generi musicali è quello che amo meno.
Ho dovuto attendere per arrivare alla musica sinfonica, e devo quella iniziazione a mio zio materno, marito di Maria sorella di mia madre, zio Rodolfo, grande conoscitore ed amante di ogni genere di musica cosiddetta classica.
Era nato nel 1905 a Gorizia allora appartenente all’Impero Austro Ungarico, fu educato nella rigida scuola di quel tempo. Mi raccontava di come da adolescente andava ad ascoltare musica che un nobile faceva eseguire nel cortile interno della propria residenza o castello, non ricordo più bene, ma che potrebbe essere il Palazzo Coronini Cronberg.
Nel 1918 l’Italia occupa l’intera area Goriziana, che con il Trattato di Rapallo (1920) diventa ufficialmente parte del Regno, e così il giovane Rodolfo si ritrova suddito italiano e si arruola successivamente in polizia, venendo destinato a Napoli, come era in uso fare all’epoca, allontanando i militari dai propri luoghi d’origine, dove sposa mia zia e viene rispedito nuovamente al nord, questa volta a Venezia, per poi tornare definitivamente a Napoli, dove nascono i miei cugini, Toni e Pina quest’ultima indirizzata anche allo studio del pianoforte.
La passione per la musica crebbe in lui tanto da farlo diventare in seguito un esperto riconosciuto nell’ambiente musicale napoletano, tanto da far sì che i dirigenti della Polizia di Stato dove lavorava, lo destinassero ai servizi d’ordine di tutte le manifestazioni di musica seria.
Tra i miei ricordi l’ascolto degli esercizi che mia cugina eseguiva mi sembravano un miracolo, un prodigio comprendere che il movimento delle sue mani fosse tale da produrre quei suoni che mi suscitavano emozioni profonde. C’era un brano in particolare che mi piaceva, quasi mi commuoveva nel mio romanticismo da adolescente, ed era “Il Lago di Como”, scritto da una Pianista dilettante, Marie Cécile Galos, francese dell’ottocento, che fu autrice di diversi notturni. Rimanevo estasiato e chiedevo a Pina di farmelo riascoltare e lo avrei fatto all’infinito, se la poverina non mi avesse fermato ogni volta, dato che già subiva le pressioni dei suoi insegnanti e del padre.
Non riuscii mai a convincere i miei a farmi studiare il piano, ma credo che fossi riuscito a far capire a mio zio quanto fosse importante per me la musica, tanto che mi propose di seguirlo nelle sue settimanali presenze ai concerti dell’orchestra Scarlatti, all’appena inaugurato auditorium della Rai di via Claudio.
Nasce così la mia passione per la musica sinfonica, che è diventata nel tempo la mia droga, nel senso che provo crisi d’astinenza non avendone disponibilità per lungo tempo e vivo costantemente col sottofondo musicale, alternato alle serate oggi all’Auditorium di Roma con l’orchestra ed il magnifico coro di Santa Cecilia.
Circa trent’anni dopo quel periodo mi capitò di incontrare il maestro Prencipe, primo violino alla Scarlatti in quell’epoca, e successivamente nello stesso ruolo a Santa Cecilia, che al mio saluto e dicendogli il mio nome si ricordò di me associandolo immediatamente a quello di mio zio.
Fu una grande emozione, come lo erano i racconti che zio Rodolfo mi faceva della sua gioventù, di quei pomeriggi domenicali quando nel cortile di quell’antico palazzo si alternavano i musicisti della Corte Viennese. Si alternavano su quel palco per l’educazione della cittadinanza goriziana che veniva ammessa gratuitamente a godere, ma anche ad imparare ad apprezzare la cultura che doveva essere appannaggio di tutti.
Vedere oggi le sale da concerto semivuote per la stolta politica culturale dei radical chic imperanti che invece di ampliare il numero degli spettatori, ad esempio offrendo ingressi gratuiti per le scuole, però lo fanno per gli amici, mentre mantengono prezzi discriminati nonostante i contributi pubblici.
Tra i racconti che mi offriva, quelli che mi colpirono di più furono quelli relativi alla sorte della sua città, divisa nel secondo dopoguerra in due; mi parlò della sua casa divisa in due dal confine voluto da Tito, mi parlò del Muro di Gorizia, realizzato nel 1947, antesignano del Muro di Berlino. Meno massiccio di quello ma egualmente soffocante, costituita da una base in calcestruzzo larga 50 centimetri sul quale era stata costruita ringhiera in ferro di un metro e mezzo, che venne abbattuta parzialmente solo nel 2004.
Nel tempo ebbe modo di ampliare lo spazio dei suoi ricordi e cominciò a parlarmi della violenza che aveva caratterizzato quegli anni della guerra e di come l’ideologia comunista avesse inacerbito i rapporti che erano stati sempre normali tra la popolazione slovena ed italiana; al più potevano esistere rigurgiti di nostalgia filo asburgica, ma mai odio, peraltro fomentato da un regime liberticida quale quello comunista che si opponeva ad un altro regime, quello fascista, altrettanto feroce.
Oggi assistiamo alla rinascita di quelle contrapposizioni.
Da un lato baci e abbracci tra le istituzioni italiane e slovene sulla pietra che ricorda il muro rimosso, nel giorno dell’inaugurazione della giornata della cultura europea proprio a Gorizia – Nova Gorica, dall’altro l’oltraggio al monumento a Basovizza che ricorda le foibe e le migliaia di morti della follia titina, o lo sfregio ai simboli degli altrettanto folli eccidi nazi fascisti.
I rigurgiti in Europa, ma un po’ diffusi in tutto il mondo, verso sistemi considerati forti, di destra e sinistra, lasciano attoniti. Solo l’idiozia di governanti che per ambizioni, egoismi personali e smania di potere hanno abdicato alla loro funzione di tutori dell’interesse collettivo per sopravvivere all’infinito, incapaci di collaborare o accettare il risultato elettorale, si veda quanto accaduto in Italia, Germania, Francia, e in altre democrazie considerate consolidate, e la contemporanea disaffezione al voto, sono altrettanti inequivocabili segnali di una degenerazione sociale e dello iato esistente tra la gente qualunque e la politica.
Chissà se l’educazione musicale e l’apertura alla cultura sempre più condivisa e comune non possa essere forse la soluzione per la barbarie che si avvicina sempre più.
- già professore Ordinario presso l’Università degli Studi di Salerno
Immagine CC BY-SA 2.0.La pavimentazione di piazza della Transalpina rifatta con l’indicazione della linea di confine.
