Dalla maturità a Salerno al campo di Dachau, la storia di Giovanni Palatucci
di Claudia Izzo-
In questo periodo, spesso riecheggiano nella mia mente i racconti che mia nonna, originaria di Buccino, mi faceva, solo su mia richiesta, del periodo della guerra. Ho sempre pensato che non fosse un argomento di cui parlasse con piacere, per questo ero io a domandare. Mi parlava di una Buccino lontana dalla guerra, eppure raggiunta dai tedeschi; del suo aborto a seguito di un incontro con un tedesco per la strada, mentre lei nascondeva un bottiglione d’olio sotto uno scialle; del fratello avvocato “sfollato” da Napoli con la sua famiglia, del razionamento del cibo, delle tessere che venivano utilizzate, della marchesa Forcella che le offrì un brillante, mai accettato, per ottenerne di più; del cibo che la nonna cercava di dare in più alle famiglie bisognose, lei che con l’attività commerciale di famiglia, durante la guerra, non ha conosciuto la fame. Sullo sfondo una casa a due piani in cui la famiglia si era ricongiunta e quella culla ad uovo, in legno con il velo occupata dal nipotino napoletano. E poi mi raccontava del Vescovo di Campagna, Mons. Giuseppe Maria Palatucci, deceduto a Campagna nel 1961, che negli anni del terrore nazifascista nascose tanti ebrei preoccupandosi della loro assistenza morale e materiale, riuscendo a salvarli dalla deportazione nei campi di sterminio. La storia era vera, perchè un suo parente, Don Francesco Sacco, stretto collaboratore di Palatucci, le riferiva quanto si stesse facendo per gli ebrei a Campagna.
“Li ha nascosti e li ha salvati”, mi diceva, con l’orgoglio negli occhi. Ed il racconto si snodava nella storia del nipote del vescovo, Giovanni Palatucci, nato a Montella nel 1909, poliziotto, poi vice commissario aggiunto di Pubblica Sicurezza. Questa figura è molto controversa, prima salita agli onori nell’ambito del Vaticano, poi rimossa, poi riabilitata.
Giovanni Palatucci frequentò il Ginnasio a Dentecane, il Liceo a Benevento, ma conseguì la maturità a Salerno nel 1928. Laureatosi in Giurisprudenza all’università di Torino, si iscrisse al Partito Nazionale Fascista aderendo poi alla Repubblica Sociale Italiana. Proprio per il ruolo che rivestiva addetto all’ufficio stranieri della Questura di Fiume dal 1937, poi questore reggente sino al 13 settembre 1944, ebbe modo di conoscere da vicino le conseguenze dell’emanazione delle leggi razziali fasciste. Proprio per questo, attraverso una rete di amici, cercò di salvare ebrei dai campi di concentramento. Durante la sua permanenza a Fiume si dice che abbia salvato più di 5000 ebrei.
Nel 1943 Giovanni Palatucci entrò a far parte della cosiddetta zona d’operazioni del Litorale adriatico che veniva controllata direttamente dalle truppe tedesche per ragioni d’importanza strategica. Avvisato del pericolo che correva personalmente, Palatucci decise di rimanere al suo posto e di non fuggire in Svizzera su invito del console svizzero di Trieste. Accettò si l’invito del console, ma al suo posto fece partire una sua giovane amica ebrea.
Giovanni Palatucci si impegnò anche affinché Fiume mantenesse la sua indipendenza senza essere ceduta dall’Italia alla Jugoslavia. Proprio per questo, a causa di un documento tradotto in inglese, Giovanni Palatucci fu arrestato dai militari tedeschi, imprigionato a Trieste e trasferito nel campo di concentramento di Dachau. Qui vi morì di stenti, 78 giorni prima della liberazione del campo, a 36 anni nel 1945.
117826 era il numero cucito sulla sua divisa da campo.
«Ho la possibilità di fare un po’ di bene, e i beneficiati da me sono assai riconoscenti. Nel complesso riscontro molte simpatie. Di me non ho altro di speciale da comunicare», si legge in una lettera scritta ai genitori in quel periodo.
Nel 1952, il vescovo Giuseppe Maria Palatucci racconterà del nipote e dei «numerosissimi israeliti» salvati durante la sua permanenza a Fiume, per molti una storia inventata. Da quel momento Giovanni Palatucci presso la Chiesa Cattolica divenne Servo di Dio nel 2004; Giusto tra le nazioni in Israele nel 1990; insignito della Medaglia d’oro al merito civile nel 1995 per la Repubblica italiana.
Molte però sono le controversie riguardo la figura di Giovanni Palatucci, prima presentato come lo Schindler italiano, poi denigrato. A sollevare dubbi nel 2013, sulla dinamica delle vicende, sugli ebrei salvati fu il Centro Primo Levi di New York secondo cui, in base all’esame di circa 700 documenti, Palatucci sarebbe un accurato esecutore della deportazione degli ebrei di Fiume. Nel ruolo di responsabile dell’applicazione delle leggi razziali fasciste avrebbe spedito nei campi di concentramento almeno 412 dei circa 500 ebrei presenti a Fiume.
A questo punto ci si chiede se salvare vite, anche poche, esponendo la propria persona, dato il ruolo, non è già aver salvato il mondo?
Ma la deportazione e morte a Dachau, sempre per il Centro Primo Levi di NewYork, sarebbe stata causata dall’aver passato agli inglesi piani per l’indipendenza di Fiume che nulla avrebbe a che fare, dunque, con la messa in salvo di ebrei.
Anche L’Osservatore Romano e il museo Yad Vashem avrebbero avuto riserve sul caso, per L‘Osservatore Romano, «sul caso Palatucci le ricerche storiche di prima mano sono state poche, che numeri e fatti sono stati sottoposti ad interpretazioni agiografiche. Ed è anche probabile che in seguito alle ricerche in corso, i numeri andranno ridimensionati, che alcuni eventi andranno riletti».
Tantissime, d’altro canto, le testimonianze a favore del questore di Fiume. L’Osservatore Romano e lo Yad Vashem hanno posto termine al revisionismo riabilitando la memoria del questore .
Mia nonna mi raccontava di ebrei ritornati a Campagna nei luoghi della loro salvezza.
