Il racconto della Domenica: Il ritorno

di Sergio Del Vecchio

Era una mattina d’inverno, i raggi del sole tagliavano la piazza creando lunghe ombre sul selciato. Da nord arrivava un vento gelido che sembrava provenire dalle montagne innevate che si scorgevano in lontananza. Tac, tac, tac, tac, si sentiva solo il rumore dei suoi tacchi sul porfido che risuonavano in quello spazio deserto producendo una strana eco. Potevano essere le due del pomeriggio, o forse l’una, perché tutti i negozi erano chiusi e in giro non c’era anima viva. Perché era venuto in questo posto? Doveva fare qualcosa? Doveva forse incontrare qualcuno? Se lo domandò arrestandosi un attimo e scrutando l’ambiente circostante.

Poi si calò la falda del cappello sugli occhi, si sistemò meglio la sciarpa e seguitò a camminare. Dal fondo della piazza proveniva uno sciabordìo, notò infatti che c’era una fontana da cui sgorgava acqua a fiotti ma le folate di vento ne facevano cadere una buona parte a terra al di fuori della vasca. Alla vista di quell’acqua un brivido di freddo gli percorse la schiena. Attraversò tutta la piazza e proseguì lungo la strada principale.

Dalle finestre con le imposte chiuse non proveniva alcun rumore. “Alberto!”, “Alberto!”, “Albè, ma che hai fatto?”.

Si voltò e vide che all’angolo della strada un uomo della sua età lo guardava con un accenno di sorriso, quasi di compassione. Trasalì.

Strinse gli occhi come per metterlo meglio a fuoco e lo scrutò con sguardo interrogativo: “Ma… perché?”. “Albè! Albè, ma che hai fatto?”, adesso l’uomo aveva le mani giunte e le agitava su e giù. “Ma io questo lo conosco – pensò – sì, è il figlio di… no, forse è il fratello…no ma di sicuro lo conosco…anche lui mi conosce”.

Con il cuore in gola allungò il passo. Ogni tanto si girava, l’uomo era ancora là che lo guardava con le mani giunte scuotendo la testa a destra e sinistra. Questo incontro lo aveva turbato. Sentì crescere un senso di inquietudine ancora più forte di quanto non lo fosse prima. Sentì il bisogno di fermarsi a riflettere. Lungo la strada c’erano delle panchine. Sì, doveva fermarsi e riflettere.

Una voce alle sue spalle spezzò il flusso dei suoi pensieri: “Uè Pascariè!”. Un vecchio con un cappello nero ed un bastone se ne stava seduto sulla panchina a fianco e lo fissava con un sorriso affettuoso. “Zì Franco, ma siete voi? Da quanto tempo…”. “Pascariè, te lo ricordi che da bambino ti chiamavano tutti così” – disse il vecchio. “Sì è vero, da bambino… sì, mi ricordo, io giocavo qui con gli altri bambini e mi chiamavano così. Allora mi dava fastidio, ma adesso no”. “Perché sei tornato? Sentivi la mancanza del paese?”. “No Zì Franco, non lo so, stavo cercando qualcosa ma non ricordo cosa…”. “Allora fatti un giro, può darsi che ti viene a mente”. “Grazie Zì Franco, sì farò così”. Si allontanò in fretta, si sentiva smarrito, quel senso di inquietudine era cresciuto. Don! Don! Dan! Don! “L’orologio della piazza. Sì mi ricordo, i rintocchi suonano le ore” – pensò – Don! Dan! Don! “sette, otto, nove”, Don! Don! Dan! “sono le dodici e tre quarti!”- concluse – .

Si era allontanato dal centro del paese, immerso nei suoi pensieri notò che stava percorrendo una stradina periferica costeggiata da villini e tanto verde intorno. Da un cortile chiuso da una staccionata si sentiva l’abbaiare di un grosso cane. Erano latrati regolari, cupi e profondi, prodotti sicuramente da un animale di grossa taglia. Si fermò un attimo, la strada lo portava a passare davanti a quel cortile. L’abbaiare si faceva sempre più forte. Decise di proseguire. Arrivato di fronte alla staccionata, appena lo vide, stranamente il cane si ammutolì, come sorpreso. Si fermò immobile sulle quattro zampe e lo guardò in silenzio. Era un pastore maremmano dal lungo pelo bianco.

I grandi occhi del cane fissarono a lungo i piccoli occhi dell’uomo. Restarono così, immobili, a fissarsi per un tempo indefinito. Socchiuse gli occhi come per vedere meglio. Per un attimo gli sembrò di vedere una lacrima scendere dagli occhi dell’animale. Si sorprese a correre affannosamente. Tac tac tac tac tac, il rumore delle suole sul selciato era più forte e concitato. Corse parecchio. Non si era reso conto di essersi allontanato così tanto dal centro abitato. La strada adesso era sterrata, c’era tanta vegetazione e alberi giganteschi avevano oscurato il sole. Il silenzio era assordante. Tese le orecchie come per cercare di percepire altri suoni al di là dello stormire delle fronde mosse dal vento. Niente. Provò di nuovo. Pum! Sentì un suono provenire da lontano. Avanzò nella direzione del suono cercando di coglierlo di nuovo. Pum! Eccolo di nuovo. Si fece largo tra i rami della boscaglia. Pum! Pum! Lo sentiva sempre più vicino. All’improvviso il verde si interrompeva e si sbucava in uno spazio aperto fatto di ciottoli e di terra battuta. Pum! – faceva il pallone rimbalzando a terra –

Era un piccolo campetto di calcio con due porte e le linee appena tracciate. Dietro una delle due porte c’era un muretto con sopra una rete metallica. Un bambino tirava calci a un pallone di cuoio facendo in modo che il muro glielo restituisse per ricominciare. Quando arrivò a pochi metri dal bambino, questo si arrestò di scatto e prese il pallone tra le mani perché solo allora si era accorto della sua presenza. “Lo sai anch’io quando avevo la tua età venivo qua a giocare a pallone” disse l’uomo avvicinandosi al bambino. “Sai non me lo ricordavo più, questo posto, lo avevo dimenticato, ma adesso lo ricordo bene. Sì me lo ricordo bene, c’ero io e c’erano tanti altri bambini e giocavamo qua dove sei tu ora”. Si guardarono a lungo in silenzio. Sembrò un tempo lunghissimo. “Giochiamo?” – disse il bambino lanciandogli il pallone.

Sergio Del Vecchio Sergio Del Vecchio

Sergio Del Vecchio

Dottore commercialista, giornalista pubblicista, appassionato d’arte, di musica e di fumetto. Ama leggere, disegnare e dipingere. Nel suo percorso professionale si è occupato di formazione e terzo settore. Ha costituito l’Associazione Salerno Attiva – Activa Civitas con cui ha organizzato a Salerno 10 edizioni di VinArte, un format di successo che univa il mondo del wine all’arte nelle sue declinazioni. Nel 2017 è tra i fondatori dell’Associazione culturale Contaminazioni, con cui ha curato diversi eventi e l’edizione del libro “La primavera fuori, 31 scritti al tempo del coronavirus” di cui è anche coautore. Colleziona biciclette e tra i fornelli finge di essere un grande chef.

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