27 Gennaio, per dimenticare la firma italiana pro leggi razziali
“…Nessuno di voi rimarrà per portare testimonianza, ma se qualcuno scampasse, il mondo non gli crederà. Forse ci saranno sospetti, discussioni, ricerche di storici, ma non ci saranno certezze, perchè noi distruggeremo le prove insieme a voi. E quando anche qualche prova dovesse rimanere, e qualcuno di voi sopravvivere, la gente dirà che i fatti che voi raccontate sono troppo mostruosi per essere creduti” .
Queste le parole delle SS riportate da Simon Wiesenthal nelle ultime pagine di “Gli assassini sono fra noi” (Garzanti, Milano 1970).
Era il 27 gennaio 1945 quando le truppe dell’ Armata Rossa liberarono il campo di concentramento di Auschwitz , ma non bisogna dimenticare che sei mesi prima i Russi avevano già avuto modo di conoscere gli orrori nazifascisti liberando il campo di concentramento di Majdanek e conquistando, nell’estate 1944, anche le zone in cui si trovavano i campi di sterminio di Belzec, Sobibor e Treblinka.
Perchè allora è la data del 27 gennaio che diviene, dal 2005, la data ufficiale decisa dai membri ONU in ricordo della Shoah?
Si è trattato di decidere cosa la Memoria dovesse ricordare.
Era stata proposta dal Deputato Furio Colombo la data del 6 ottobre, data in cui fu deciso il rastrellamento del ghetto di Roma. Il 16 ottobre 1943, oltre mille cittadini italiani di origine ebraica furono catturati e deportati dall’Italia ad Auschwitz. In questo modo la Memoria si sarebbe focalizzata per sempre sulle deportazioni razziali, sottolineando le responsabilità anche italiane nello sterminio. Ricordiamo che le Leggi razziali fasciste furono emanate fra il 1938 ed il 1945, prima dal regime fascista del Regno d’Italia, poi dalla Repubblica Sociale Italiana contro le persone ebree. Se, inizialmente, nel Partito fascista non vi erano indicazioni antisemite e il tesseramento era aperto anche agli ebrei, poi si andò legittimando al suo interno, con l’ascesa al potere del Nazismo, una corrente antisemita, fino all’allontanamento degli ebrei dai vertici dello Stato e dalle posizioni nazionali da esso controllate.
Per quanto riguarda la data della commemorazione vi era poi chi sosteneva, come l’Associazione nazionale ex deportati politici nei campi nazisti, che la data prescelta dovesse essere il 5 maggio, anniversario della liberazione di Mauthausen, per sottolineare la centralità della storia dell’antifascismo e delle deportazioni politiche in Italia.
Auschwitz, intanto, era ormai simbolo universale delle tragedia ebraica durante la Seconda Guerra Mondiale in tutta l’Europa. Di qui la scelta del giorno della sua liberazione, avvenuta il 27 gennaio, appunto, per mantenere vivo il ricordo del genocidio, delle vittime innocenti della follia nazifascista.
Si è trattato di decidere cosa la Memoria dovesse ricordare.
Celebrare, per non dimenticare, celebrare perché “ricordare è un dovere morale” soprattutto innanzi ai tentativi di revisionismo storico da parte di derive neonaziste e razziste. Ma come facciamo oggi a celebrare la Giornata della Memoria, se, dimenticando tutto siamo in grado di dar vita ad altri genocidi, altre tragedie, altri massacri perché assetati di potere e di dominio?
La famosa frase di ciceroniana memoria, Historia magistra vitae, tra le prime che facevano tradurre al Ginnasio, che significato ha oggi? Historia vero testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nuntia vetustatis», “La storia in verità è testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra di vita, messaggera dell’antichità.”
Vox in deserto clamans.
