Finchè c’è guerra, non c’è speranza per l’ambiente
di Vincenzo Iommazzo-
Periodicamente appaiono sui media aggiornate informazioni sull’andamento dell’inquinamento ambientale nelle nostre città. Associazioni certificate ed Enti governativi forniscono meritoriamente dati su insalubrità dell’aria e quantità rilevate delle polveri sottili.
Meno pubblicizzati sono però i danni causati dalle guerre, considerevoli e allarmanti, anche quando appaiono lontani da noi.
Uno studio periodicamente pubblicato sul podcast Geopop da Andrea Moccia attento divulgatore scientifico, youtuber e geologo napoletano ne illustra le problematiche.
La devastazione provocata dai conflitti armati e dalle guerre è sempre stata misurata principalmente in termini di vite umane: soldati e civili caduti, città distrutte e feriti. Tuttavia, l’ambiente resta una vittima silenziosa e spesso trascurata della guerra, con pozzi d’acqua contaminati, coltivazioni incenerite, foreste abbattute, suoli avvelenati e fauna sacrificata per guadagni tattici.
E’ da considerare in primis che tutti i mezzi di terra, di mare e in aria in movimento consumano ingenti quantità di carburante con massicce emissioni di CO2 in atmosfera. Un gruppo internazionale di ricercatori, coordinati dall’olandese Lennard de Klerk studioso degli impatti dei conflitti militari, calcola che solo nei primi sette mesi del conflitto in Ucraina che dura ormai da tre anni, le emissioni ammontavano già ad almeno 100 milioni di tonnellate di CO2 equivalente.
Per non parlare delle esplosioni che rilasciano in aria e nelle città bombardate elevati quantitativi di polveri e gas inquinanti che i venti si incaricano di trasportare in territori anche lontani. Sempre in Ucraina, ma l’analogia può valere per tutte le zone interessate dalle guerre, si contano 280.000 ettari di foreste bruciate o danneggiate in un anno di conflitto. I bombardamenti (e non solo, come si è visto a Los Angeles) provocano incendi che distruggono la vegetazione e gli habitat rifugio e vita per un gran numero di specie. Conseguenze evidenti sono state riscontrate anche su specie marine in aree interessate da operazioni navali o da esplosioni sottomarine.
Non meno impattanti sono gli effetti degli ordigni inesplosi per il suolo contaminato da sostanze tossiche. Sono resi improduttivi, talvolta impraticabili, terreni per lunghissimi periodi di tempo. Vengono causati danni ai civili rilasciando residui tossici nell’acqua superficiale, nelle falde e nei terreni mettendo a rischio le catene alimentari. In Italia sono oltre 25.000 le bombe d’aereo inesplose risalenti al periodo tra il 1940 e il 1945 della seconda guerra mondiale: secondo un report del Ministero della Difesa le 12 unità preposte alla bonifica eseguono mediamente 2.500 interventi l’anno sul territorio nazionale.
Ancora di micidiali conseguenze per l’acqua sono responsabili le guerre a causa degli inquinanti percolanti dal suolo che si immettono in fiumi e falde sotterranee. Spesso vengono bombardate dighe o deviati fiumi nell’intento di allagare una zona o, al contrario, ridurre drasticamente la disponibilità di acqua dell’area colpita. A Gaza, per esempio, gli impianti di trattamento delle acque reflue e le stazioni di pompaggio dell’acqua sono attualmente fermi per mancanza di corrente elettrica; le acque inquinate vengono scaricate in mare e non c’è più accesso all’acqua potabile.
Infine, sarebbero da non sottovalutare i rischi del nucleare dato che gli elementi radioattivi rilasciati da vari tipi di armi e da proiettili possono rimanere immagazzinati nell’ambiente per decine di migliaia di anni. Per avere un’idea, possono essere presi in considerazione i dati dell’intervento della Nato in Kosovo dal febbraio 1998 al giugno ‘99: furono sparati più di 31 mila colpi di munizioni pari a circa 13 tonnellate di uranio impoverito, causa di conseguenze anche letali per una parte dei militari e della popolazione esposta.
Cosa si può fare per limitare i danni? Le Nazioni Unite ritengono cruciale che la salvaguardia ambientale sia integrata nelle strategie di prevenzione dei conflitti e nei piani di mantenimento e costruzione della pace. La distruzione delle risorse naturali che sostengono mezzi di sussistenza ed ecosistemi compromette infatti le basi di una pace duratura.
