“ La presa di Cristo” di Caravaggio nel Complesso di San Michele a Salerno: analisi e studi dell’opera
All’interno del Complesso di San Michele (il medievale monastero di San Michele e Santo Stefano, nell’antico quartiere orientale detto “Orto Magno”, le cui prime testimonianza scritte risalgono al 1039, in epoca longobarda, al tempo in cui vi dimorava la badessa Sichelgaita), da giorni è esposto al pubblico un capolavoro dell’arte barocca del grande Maestro Michelangelo Merisi, più comunemente conosciuto come Caravaggio, dal titolo “La presa di Cristo”. La piccola Mostra, dopo i due successi di Ariccia presso Palazzo Chigi e di Napoli in Palazzo Ricca (sede dell’Archivio Storico del Banco di Napoli) viene allestita nella Sala Affreschi del Complesso di San Michele a Salerno, negli eleganti ambienti risalenti alla seconda metà del settecento, affrescati dall’artista Giambattista de Mari. A cura di Don Gianni Citro e Francesco Petrucci (uno dei massimi studiosi di arte barocca) l’esposizione è arricchita da pannelli didattici che evidenziano alcune fonti documentarie dell’opera, le caratteristiche stilistiche e le indagini diagnostiche, con altri documenti provenienti dall’Archivio Storico del Banco di Napoli che attestano l’attività di Caravaggio nella città partenopea. La Mostra è promossa da Fondazione Carisal assieme alla Fondazione Meeting del Mare C.R.E.A. con il contributo della Banca Patrimoni Sella, il patrocinio del Ministero della Cultura, della Regione Campania, della Provincia di Salerno, del Comune di Salerno, Archidiocesi, Policom, Acri, Consulta delle Fondazioni di Origine Bancaria del Sud e Isole, Fondazione Banco di Napoli, Fondazione Pinuccio Lamura. L’opera mostra al pubblico una scena assolutamente ricca di pathos, tra le più intense del periodo artistico-lavorativo romano (Merisi è presente a Roma nell’arco di tempo che va dal 1594 al 1606). Molto complesse, inoltre, le vicissitudini legate al quadro la cui copia autografa, è attualmente in deposito alla National Gallery of Ireland dal 1993.
L’esistenza delle due versioni è ben attestata dagli inventari di Casa Mattei: il prototipo originale, avente una cornice nera rabescata d’oro, passò nel 1624 al Marchese Astrubale Mattei, alla morte del fratello Ciriaco. Dalla morte di Astrubale, avvenuta nel 1638, del quadro si perde ogni traccia fino a quando nel 1688 ricompare a Napoli in un inventario di mercanti fiamminghi (i Vandeneynden) famiglia avente stretti rapporti commerciali con Roma. L’opera ricompare successivamente nella collezione Colonna di Stigliano; tuttavia, nella terza decade dell’800 l’ultima erede Cecilia Ruffo dei Duchi di Bagnara vende il palazzo di Stigliano con tutte le opere presenti all’interno, compreso il quadro del Caravaggio. L’opera ricompare, infine, tra le proprietà della famiglia Ruffo principi di Scilla fin quando nel 2003 viene venduta al collezionista d’arte romano Mario Bigetti. La replica, invece, realizzata sicuramente dopo il 1603, sempre per volere dei Mattei che desideravano una “presa di Cristo” più attinente alla descrizione evangelica con l’ambientazione nell’Orto degli ulivi, risulta leggermente più piccola, in rapporto al prototipo, con semplice cornice dorata. Rimasta Collezione Mattei fino al 1802, il quadro viene però erroneamente, dalla fine del ‘700 attribuito non al Merisi ma bensì a un noto pittore olandese caravaggista, Gherardo delle Notti. Successivamente venduto a un collezionista scozzese (William Hamilton Nisbet) nel 1802, viene poi acquistato, nel XX secolo, dalla dottoressa irlandese Mary Lea Wilson, e sempre identificato, come opera di Gherardo delle Notti, viene, infine, donato al Collegio dei Gesuiti di Sant’Ignazio di Dublino. Dopo attente valutazioni di numerosi studiosi, lo storico d’arte Sergio Benedetti riconosce nel quadro la mano del Caravaggio, autenticandolo e depositandolo, nel 1993, presso la National Gallery of Ireland. Lunghe indagini e approfonditi studi effettuati da Francesca Cappelletti e Laura Testa, hanno attestato, finalmente, la data precisa del prototipo originale; grazie al ritrovato documento che attesta il saldo versato al Merisi da Ciriaco Mattei, risalente al 2 gennaio 1602 che così recita: “scudi cento centoventicinque di moneta… per tanti pagati a Michel Angelo di Caravaggio per un quadro con la sua cornice dipinta d’un Cristo preso all’orto dico scudi 125”. L’opera viene, dunque realizzata nel corso del 1602, per un importo particolarmente alto pari alla realizzazione di una pala d’altare. Oltre alla tela il Caravaggio realizza, su suo disegno, anche la cornice dipinta. Lo storico e critico d’arte italiana Roberto Longhi rintraccia il quadro nel 1943, in una proprietà privata di Firenze presso l’avvocato Sannini, e lo espone al pubblico, per la prima volta nel 1951, in una Mostra a Milano dal titolo “Mostra del Caravaggio e dei caravaggeschi” a cura di Roberto Longhi, ritenendo, tuttavia, una ottima copia dell’originale. All’acquisto da parte dell’antiquario Mario Bigetti, dopo un’attenta analisi dell’opera e una lunga perizia da parte della restauratrice Carla Mariani, il quadro viene sottoposto a un processo di restauro, riportando alla luce l’originale dipinto, oscurato da numerose vernici ossidate, da ritocchi e da incoerenti ridipinture che evidenziavano i negligenti interventi di restauro del passato. Con questo importante intervento di recupero, si attestava già nel 2004 l’autenticità dell’opera del Merisi, valendogli anche la notifica da parte dello Stato Italiano, con Decreto del 2 dicembre 2004 del Ministro dei Beni Culturali, come opera di particolare interesse nazionale. L’opera raffigura il momento della cattura di Gesù con Giuda Iscariota che bacia il Cristo indicando, dunque, la persona da arrestare. Essa appare come una sorta di fermo-immagine di un momento molto significativo e, al tempo stesso, sembra di poter scorgere la veloce azione di quell’istante: Giuda che ha appena baciato Gesù, ancora in estasi, e con le mani intrecciate, dopo le preghiere nell’orto degli ulivi. Sulla destra di Gesù si vedono 4 armigeri, Giuda e un uomo (forse l’autoritratto dell’artista stesso) che illumina l’atto con una lanterna; sulla sinistra di Cristo invece si vede san Giovanni urlante intento a fuggire. La scena si mostra particolarmente dinamica, con i giochi di luce che si riflettono sulle corazze dei soldati; il Cristo risulta già rassegnato al suo triste destino, mentre Giuda sembrerebbe, dal suo volto corrucciato, già pentito. San Giovanni esprime tutta l’emozione quasi violenta del momento, cosa che Gesù sembrerebbe quasi reprimere! Ci sono precise differenze tra la tela della Collezione Ruffo e quella dublinese. Di fatti in quest’ultima la lanterna produce una luce ben più evidente di quella presente nel prototipo. Inoltre nel quadro irlandese si notano lontanamente un tronco di ulivo e del fogliame (natura presente sul Getsemani), elementi assenti in quello della collezione Ruffo. Nella tela di Dublino, poi, non si scorge sull’indice della mano sinistra di Giuda, la cicatrice di una bruciatura, che ben si nota invece su quella della Collezione Ruffo. Quest’ultima evidenzia il marchio a fuoco del tradimento. Differenti sono anche i volti di san Giovanni, di fatti nel prototipo è evidenziato meno vecchio e anche meno terrorizzato di quello dublinese. La Mostra, aperta al pubblico fino al 23 marzo, sarà, inoltre, associata a un interessante calendario di incontri ogni venerdì: si coinvolgeranno studiosi e artisti accompagnati da performance musicali e artistiche che hanno lo scopo di immergere appieno il pubblico nella vita e nel periodo storico del Caravaggio.