Come cambia, se cambia, il sistema pensionistico

di Pierre De Filippo-

Tutti sappiamo bene qual è la bandierina principale della Lega, che viene prima della sicurezza, della lotta all’immigrazione e della riduzione delle tasse: il sistema pensionistico.

Che messa così farebbe anche apparire il partito di via Bellerio come portatore di un’idea complessiva e arguta sul tema. Invece no, perché Salvini chiede sempre la stessa cosa: mandare in pensione le persone prima, sordo alle dichiarazioni – in primis, del suo ministro dell’Economia e delle Finanze Giorgetti – secondo le quali non ce lo potremmo permettere.

Cosa è successo a questo proposito?

È successo che una sconosciuta deputata leghista, Tiziana Nisini, abbia presentato un emendamento alla legge di bilancio, ispirato dal sottosegretario leghista al Lavoro Claudio Durigon, che incide sulle regole del pensionamento contributivo.

Procediamo con ordine e vediamo di capirci.

Dal 1996 è in vigore il sistema contributivo, che ha sostituito quello retributivo: l’assegno pensionistico, cioè, non è rapportato agli ultimi stipendi ricevuti ma alla somma dei contributi versati, in sintesi.

Le attuali norme prevedono due strade per accedere alla pensione: il raggiungimento del dato anagrafico (pensione di vecchiaia) o l’uscita anticipata.

L’età anagrafica è fissa ai 67 anni. E non verrà cambiata.

L’uscita anticipata prevedeva la possibilità di andare in pensione con 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 e 10 mesi per le donne.

L’emendamento Nisini-Durigon cosa propone?

Propone che, per i soli lavoratori in totale regime contributivo (vale a dire quelli che hanno iniziato a lavorare dopo il 1996) si possa andare in pensione a 64 se, ai contributi “pubblici” maturati, si aggiungono quelli della previdenza complementare, vale a dire che ciascuno lavoratore abbia deciso di destinare il Tfr o parte di esso a questo scopo.

L’emendamento, che deve contemperare più esigenze, fa anche un’altra cosa (è il caso di dire che con una mano dà e una mano toglie): dice che, dall’anno prossimo, per accedere a questa possibilità, il lavoratore deve aver maturato almeno 25 anni di lavoro, quindi restringe di fatto la platea ai soli assunti tra il 1996 e il 2000 che abbiano anche una quota complementare da aggiungere.

Dal 2030, gli anni necessari saranno 30. E il totale fa sempre zero.

Che giudizio dare a questa strategia?

Sicuramente furbo perché consentirà al leader del Carroccio di dire che ha ottenuto l’obiettivo di mandare delle persone in pensione prima. Saranno poche, lo sa anche lui, ma gli slogan a questo servono, a semplificare le cose.

Bene fa, forse inconsapevolmente, a valorizzare la previdenza complementare.

I giovani sappiano che questo è il futuro se, fra qualche decennio, vorranno poter contare su un discreto tesoretto.

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